STORIA E TRADIZIONI
Modi di dire che nascono dalle usanze di un tempo: perché si dice "Chi ccaristi râ naca?"
Un tempo non si facevano dormire i neonati nel letto matrimoniale perché si temeva che potessero soffocare. Venivano messi nella cosiddetta "naca a-bbuòlo"
Una antica culla in Sicilia (foto di Custonaci Web)
stu figghiu beddu rummiri num-mò;
e-sse iḍḍ̣u m-moli rummìri,
naticateddi sa- cquantu n’âviri;
e-sse iḍ̣ḍu m-moli stari,
'nta lu culiddu cci l’am’a-ddari.
Pochi versi che forse alcuni ricordano: una nenia, una ninna nanna tanto cara alle nostre nonne, che amavano così coccolare i loro piccoli per farli addormentare.
Queste poche parole erano molto conosciute nella tradizione popolare siciliana e soprattutto degli Iblei. Nelle antiche, povere, case rurali del territorio di Palazzolo Acreide c’era di tutto.
Non solo erano le dimore della gente che trascorreva le giornate al lavoro nei campi, ma si provava anche a munirle di ogni confort utile per i piccoli appena nati.
E un’immagine iconica della Casa Museo "Antonino Uccello" di Palazzolo è proprio la casa ri stari cioè la camera matrimoniale, dove oltre al lettone per marito e moglie, era sospesa, attaccata con due corde la cosiddetta naca a-bbuòlo: una piccola culla dove venivano messi i bambini appena nati.
«A naca a-bbuòlu – racconta - è una sorta di amaca di stoffa recuperata da vecchi materassi, oppure realizzata con mussola o tela tessuta in casa. Viene sospesa sul letto tramite due cordicelle, legate a due boccole di ferro fissate in alto su due pareti contigue».
Un tempo, infatti, far dormire i neonati nel letto della madre era condannato dalla Chiesa, perché si temeva che il piccolo potesse soffocare.
La mamma, allora, per mezzo di una cordicella che penzolava a portata di mano, quando di notte il bambino piangeva, poteva dondolarlo tirando la corda e stando comodamente coricata senza bisogno di alzarsi al letto.
«Il dondolio della naca era immancabilmente accompagnato dal canto della ninna-nanna per conciliare il sonno del bambino – dice ancora Blancato-: e alavò, e alavò, / stu figghiu beddu rummiri num-mò; / e-sse iḍḍ̣u m-moli rummìri, / naticateddi sa-cquantu n’âviri; / e-sse iḍ̣ḍu m-moli stari, / nta lu culiddu cci l’am’a-ddari».
Ma i bambini nelle famiglie di un tempo erano davvero tanti. Dunque spesso la naca era occupata. Alcuni piccoli, allora, venivano sistemati ai piedi del letto, che era abbastanza alto, perché lo spazio sotto era utilizzato per metterci di tutto, anche qualche animale, come maiali o galline.
La ninna nanna era dunque un rimedio per far addormentare i piccoli pargoli. Che non sempre gradivano stare nella naca.
«Le mamme si spazientivano – spiega Blancato -, perché era tempo che sottraevano alle quotidiane faccende di casa ivi compresi i lavori extra. Per quel modo nervoso di dondolare, poteva capitare allora che si staccasse la boccola dal muro, o, la corda, già logora, poteva cedere per lo sforzo: il pargolo, allora, abbulava a terra assieme alla naca, a volte con serie conseguenze.
Da qui il modo di dire: Chi ccaristi râ naca? o peggio ancora: Chi ccaristi râ naca a-bbuòlu? a mo’ di sfottò a persona che si comporta in modo stravagante».
Oggi di questa antica tradizione resta ben poco. Nelle nostre case non ci sono "Naca a bbuolo", ma culle tenute ben salde al letto matrimoniale o che rispecchiano i canoni di moderne tipologie. Chissà magari per le neo mamme una naca come queste, con il suo tradizionale dondolio, potrebbe essere utile nelle notti insonni.
I tempi sono cambiati ma la memoria resta.
Dunque se vi capita di raggiungere le zone Iblee, e Palazzolo Acreide in particolare, potreste visitare queste antiche dimore, come il museo "Antonino Uccello", che a riaprirà a breve dopo i lavori di restauro che lo hanno interessato.
Sarà un modo per fare un tuffo nel passato e ricordare un’usanza tanto cara ai nostri avi.
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