CINEMA E TV
Viva il quarantenne vergine specchio delle nostre fragilità
40 anni vergine (The 40-year-old-virgin)
U.S.A. 2005
di Judd Apatow
con Steve Carell, Catherine Keener, Paul Rudd, Romany Malco, Seth Rogen, Elizabeth Banks, Leslie Mann
Andy Stitzer è un quarantenne come tanti altri. Ha un buon lavoro (dipendente in un negozio di elettronica), è simpatico, intelligente ed esteticamente passabile. Tuttavia, la sua vita si muove su binari piuttosto diversi rispetto a ciò che la maggior parte dei suoi coetanei ritiene “normale”. Abita da solo in un appartamento che somiglia di più a un negozio di giocattoli: videogiochi, action figures (cioè costosi pupazzoni che ritraggono personaggi dei cartoni animati o delle serie tv), collezioni di soldatini, manifesti di vecchi film lo assediano ovunque, persino in bagno. Veste fuori moda, si sposta con una bicicletta munita di doppio specchietto retrovisore e ha una vita sociale tutt’altro che movimentata. Ma, la bizzarria più grave e imperdonabile, l’onta di cui vergognarsi (almeno in una cultura sesso-centrica come la nostra) è quella d’essere ancora un “verginello”. I colleghi di lavoro, che lo scoprono per caso, si incaponiscono nell’impartirgli lezioni e nell’organizzargli incontri di ogni tipo, affinché possa liberarsi di questa malaugurata condizione. Ma sarà lui stesso a costruirsi la strada per la maturazione e la responsabilità individuale, e a coronare il suo sogno con una donna che è esattamente l’altra metà della sua mela (vende gadget su Ebay).
Non fa eccezione neanche “40 anni vergine”, che potrebbe benissimo essere considerato una specie di “American Pie” oltre i sopraggiunti limiti d’età. Il campionario di situazioni comiche è, del resto, quasi identico: dagli appuntamenti maldestri (con un’ubriacona, un transessuale, una pervertita), ai riferimenti alla masturbazione e all’erezione, dagli impacciati primi approcci sessuali (come infilare il preservativo), agli inutili tentativi per sembrare "fico" (improbabili trattamenti di bellezza inclusi). Se a questo si aggiunge che ogni singolo dialogo (almeno nella versione originale non censurata) è infarcito di parolacce come neanche i fratelli Vanzina oserebbero, non si può non rimanere delusi da come un soggetto potenzialmente interessante sia stato sciupato per realizzare l’ennesima sboccata e sciapita commedia (post)adolescenziale, per giunta con finale scontato e moraleggiante. Dispiace, anche perché l’attore protagonista Steve Carell (che ha alle spalle un’onorata carriera nella tv americana) è straordinariamente convincente nei panni del simpatico disadattato. Scontata anche la sequenza conclusiva che, da “Shrek 2” in poi, pare ripresentarsi ormai identica in ogni film che sia almeno vagamente comico: tutti i personaggi della storia, senza alcun motivo apparente, si ritrovano a ballare, saccheggiando un vecchio successo musicale possibilmente degli anni settanta (in questo caso “Let the sunshine in”). Misteri delle mode cinematografiche.
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