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“Vita mia”: intervista a Emma Dante

Lo spettatore si trova completamente immerso nella tragedia per poi essere catapultato in una dissacrazione delirante e fantastica della morte stessa

  • 20 gennaio 2004

Emma Dante ha portato in scena “Vita mia”, giovedì 15 gennaio scorso al Centro sociale Ex carcere di Palermo, studio di un prossimo spettacolo in cui narra, con i forti accenti palermitani che la caratterizzano e tramite una scenografia volutamente vissuta o – come la definisce la stessa regista – vitale, il momento più doloroso della vita: la morte. Tutto è in una perenne altalena in cui, lo spettatore, si trova completamente immerso nella tragedia che si è compiuta per poi essere catapultato in una dissacrazione delirante e fantastica della morte stessa. Il successo è stato attestato, oltre che da una replica completamente fuori programma per via del numero esuberante di pubblico, dai molti che hanno tenuto a congratularsi di persona con questa giovane regista palermitana. L’abbiamo incontrata al termine di quest’ennesimo impegno.

Emma, dal teatro degli esordi o “a cappello” come lo definisti, ad un successo di critica e di pubblico. Un bilancio?
«Io sono sempre qua, al centro sociale, a fare gli spettacoli, due repliche una dietro l’altra, per fare entrare la gente ma non è cambiato molto in realtà. Ho lo stesso entusiasmo dell’inizio, la compagnia si è allargata, ci sono nuovi acquisti… insomma, mi sembra che il lavoro stia procedendo bene».

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Progetti per il futuro?
«Oltre “Vita mia”, lo studio di uno spettacolo al quale lavoreremo altri due mesi quest’estate per poi farlo debuttare a novembre del 2004, stiamo preparando un altro spettacolo tratto da un romanzo di Tommaso Landolfi che esordirà a settembre alla Biennale di Venezia e, infine, è in calendario a gennaio “Medea” prodotto al teatro Mercadante di Napoli».

Hai intenzione di fare debuttare “Vita mia” a Palermo visto il riscontro, più che positivo, avuto?
«No, a Palermo parte solo in forma di studio».

La morte intesa come un qualcosa a metà strada tra una tragedia e la gaiezza di una ballata di Bregovic?
«Sicuramente, come tante tragedie, anche la morte genera sentimenti ”particolari”… che poi la morte non è tanto una tragedia ma uno status quo quindi, se si prende in maniera “vitale”, anche la morte racconta una cosa vera».

Nei tuoi lavori fai danzare tutto e tutti tra l’ironia e la tragedia…
(Ride, Ndr). «Mi piace prendermi per il culo… è bello trattare certi argomenti con un misto di leggerezza e stupidità».

Da dove nasce l’idea della ricerca dei materiali che utilizzi nei tuoi spettacoli?
«È un materiale misero, materiale riciclato, materiale trovato nella spazzatura, materiale dell’usato nel senso di vissuto: cose, oggetti che sono stati di qualcuno. Il letto dove ha dormito e forse è morto qualcuno, il crocifisso che è stato usato... mi piace il mettere in scena degli oggetti veri, degli oggetti ma anche delle storie “usate”».

Come vedi la situazione del teatro emergente in città?
«Non vedo grandi cose a Palermo in questo momento. Ci sono sicuramente delle persone che cercano di sopravvivere con il teatro, di sperimentare delle novità nonostante la situazione politica, che trovo disastrosa, ma attivarsi in questo senso non basta se non si esce dall’isola… c’è una grande “dispersione” in questa città».

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