LIBRI
Una Penelope segreta al tempo della rivoluzione sessuale
"Segreta Penelope” (Sellerio, 2006, pp. 271, euro 14,00) è Sara, una donna non destinata a nessuno, bella e inafferrabile, anarchica ma non ribelle, che a causa di una scelta in fin dei conti non sua, ma scaturita dalla vittoria dell’ordine circostante sul suo caos interno, sceglie la porta del suicidio come si prende una via d’uscita. Alicia Giménez-Bartlett, diventata autrice di culto in Spagna con la saga poliziesca del detective Petra Delicado, costruisce il romanzo come un’indagine sulla vita della ragazza, «una delle poche donne allo stato naturale rimaste sulla terra», cercando di analizzare i motivi che l’hanno spinta a togliersi la vita.
L’io narrante, che scandaglia la vicenda e le storie dei suoi protagonisti, è impersonato da una delle tre amiche di Sara: la più affezionata, la più complice, colei che non ha mai tentato di “castrarle” l’anima. Siamo negli anni settanta, in piena rivoluzione sessuale, e un gruppo di giovani universitari, tra cui spiccano la protagonista, Berta, Ramona e la narratrice, si muovono secondo lo spirito da “fiesta mobile” del tempo. La prima delle quattro è la scatenata amazzone che vive in allegra promiscuità, non perché sia una ribelle, ma perché le piace il sesso e farsi contagiare dalla sventatezza di quegli anni. Poi l’università finisce, e i progetti generazionali vengono sostituiti da quelli personali.
Dopo la sua morte, a turno, gli amici riallacciano i contatti, per sviscerare quello che hanno dentro, e intessono un gioco fatto di rimorsi, recriminazioni e fallimenti. Il dramma dell’amica perduta diviene il loro dramma, inciso fortemente nella vita di ciascuno. “Segreta Penelope”, oltre all’analisi già fatta, è dunque un classico romanzo generazionale. Un “Grande Freddo” spagnolo quasi esclusivamente al femminile (infatti ne ricalca la trama), scritto in modo egregio e ricco di passione e persino di furore narrativo.
La scrittrice punta il dito verso tutti gli amici della protagonista, colpevoli perché incapaci di salvarla da un’irrimediabile sconfitta. Ma chi è tale personaggio sconfitto, se non la metafora di quegli anni tanto vitali quanto illusori?: «In questo si era risolto tutto quanto? Un maggio francese del quale ci era giunto soltanto l’eco, e una somma sacerdotessa tramutata in agnello sanguinante? Dio, che schifo di generazione, la nostra! Che fallimento!».
La Bartlett ci narra con la pancia e con la forza di un fiume in piena, una stagione bella e complicata della sua generazione, esaltandone il carattere libero e criticandone gli eccessi e soprattutto i manierismi. A questo romanzo si potrebbe obiettare un certa ripetitività dei temi trattati, come se l’autrice si fosse lasciata prendere la mano da una specie di confessione fiume sui suoi anni giovanili, ma noi preferiamo considerarlo un peccato veniale. “Segreta Penelope” è una bella storia sincera che si legge con voracità. Non ci pare poco, ci pare abbastanza.
L’io narrante, che scandaglia la vicenda e le storie dei suoi protagonisti, è impersonato da una delle tre amiche di Sara: la più affezionata, la più complice, colei che non ha mai tentato di “castrarle” l’anima. Siamo negli anni settanta, in piena rivoluzione sessuale, e un gruppo di giovani universitari, tra cui spiccano la protagonista, Berta, Ramona e la narratrice, si muovono secondo lo spirito da “fiesta mobile” del tempo. La prima delle quattro è la scatenata amazzone che vive in allegra promiscuità, non perché sia una ribelle, ma perché le piace il sesso e farsi contagiare dalla sventatezza di quegli anni. Poi l’università finisce, e i progetti generazionali vengono sostituiti da quelli personali.
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È in questo frangente che si ha il punto di snodo: la sacerdotessa dell’amore libero rimane incinta e decide di abortire. Dopo un consulto con le amiche di sempre, l’importante decisione viene sancita dalla solennità ancestrale delle parole di Berta, la più quadrata e pratica delle tre: «Non ti preoccupare, un giorno sarai madre, quando verrà il momento. Vedrai». Sara in seguito a questo episodio cambia, prova a diventare la più “normale” fra le donne. La segreta Penelope rincantucciata in un angolo del suo spirito libero riesce ad avere la meglio. Si sposa con il più inadatto fra gli uomini, lo tradisce e viene tradita, si inventa casalinga e fa una figlia su cui scarica tutte le sue frustrazioni. Dopo la sua morte, a turno, gli amici riallacciano i contatti, per sviscerare quello che hanno dentro, e intessono un gioco fatto di rimorsi, recriminazioni e fallimenti. Il dramma dell’amica perduta diviene il loro dramma, inciso fortemente nella vita di ciascuno. “Segreta Penelope”, oltre all’analisi già fatta, è dunque un classico romanzo generazionale. Un “Grande Freddo” spagnolo quasi esclusivamente al femminile (infatti ne ricalca la trama), scritto in modo egregio e ricco di passione e persino di furore narrativo.
La scrittrice punta il dito verso tutti gli amici della protagonista, colpevoli perché incapaci di salvarla da un’irrimediabile sconfitta. Ma chi è tale personaggio sconfitto, se non la metafora di quegli anni tanto vitali quanto illusori?: «In questo si era risolto tutto quanto? Un maggio francese del quale ci era giunto soltanto l’eco, e una somma sacerdotessa tramutata in agnello sanguinante? Dio, che schifo di generazione, la nostra! Che fallimento!».
La Bartlett ci narra con la pancia e con la forza di un fiume in piena, una stagione bella e complicata della sua generazione, esaltandone il carattere libero e criticandone gli eccessi e soprattutto i manierismi. A questo romanzo si potrebbe obiettare un certa ripetitività dei temi trattati, come se l’autrice si fosse lasciata prendere la mano da una specie di confessione fiume sui suoi anni giovanili, ma noi preferiamo considerarlo un peccato veniale. “Segreta Penelope” è una bella storia sincera che si legge con voracità. Non ci pare poco, ci pare abbastanza.
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