ATTUALITÀ
Ultimo stadio: non avere più voglia di inviare il cv
Penso che noi della generazione precaria nutriamo un forte desiderio di rivalsa, una voglia implacabile di prenderci ciò che ci spetta e di contare qualcosa
“La città, disperazione organizzata, muoveva membra, articolava parole, accoglieva alcuni come un grembo, altri li sputava fuori, come semi d’uva”. (Wu Ming, "Previsioni del tempo")
-Ritorneremo nella nostra città?
-Non lo so, ma sarebbe bello avere la possibilità di tornare a farne parte. A Palermo ci siamo nati ma a Palermo non contiamo niente.
La sensazione che abbiamo è quella di vivere in un luogo gestito solo da altri, mai da noi.
L’asfalto è liscio qui. Si scivola, in questa città. E noi siamo come tanti incidentati che negli anni hanno imparato a mantenere l’equilibrio.
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Da un po’ di tempo a questa parte, ci siamo stancati anche di inviare il curriculum. In questi ultimi mesi, è mia zia che mi sostituisce nella ricerca di nuovi stimoli e nuove realtà lavorative, è lei che cerca nuovi 'indirizzi' per conto mio. Puntualmente, mi invia dei messaggi pieni di nomi e indirizzi di posta elettronica. Allora, dato che non devo fare alcuno sforzo, faccio un copia incolla della mia lettera di presentazione alle aziende, scrivo due righe e tac!, invio.
In tanti si sono stancati. E credo che nessuno possa fargliene una colpa. Nel profondo, penso che noi tutti della generazione precaria, nutriamo un forte desiderio di rivalsa, una voglia implacabile di prenderci ciò che ci spetta, un bisogno legittimo di contare qualcosa. Non è auto-indulgenza, ma solo la rivendicazione di un diritto, un forte impulso a non reprimere la sete di ambizione, lavoro, riconoscimento professionale e autostima. Quest'ultima, poi, cade a pezzi di questi tempi. Non avere più voglia di inviare un curriculum è l'ultimo stadio di questa ricerca ossessiva di lavoro alla quale siamo dediti quotidianamente.
Non diamo la colpa a nessuno, noi. Lo sappiamo che aziende non possono permettersi assunzioni e che, a dirla tutta, stanno lottando per non licenziare il personale interno. Ma potrebbero almeno rispondere alle e-mail. Se nessuno risponde non sapremo mai se e come dobbiamo migliorarci, quali sono i requisiti che dobbiamo possedere per ottenere quel lavoro. Non sapremo mai cosa dobbiamo fare. Abbiamo forse sprecato tempo. Un mare di tempo a scrivere, un mare di tempo a iscriverci a siti e agenzie interinali, un mare di tempo a memorizzare password per accedere a questi siti.
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Ritorneremo nella nostra città? Non lo so. E quando mi poni questa domanda mi viene in mente un film visto tempo fa, un film di Antonioni del 1960, "L’Avventura", ambientato in Sicilia. Mi ricordo della sensazione che ho provato dopo averlo visto, ricordo perfettamente la descrizione, da parte di un grande regista, di una terra che non era "sua". Antonioni l’aveva descritta come una terra chiusa, ostile agli stranieri, ai turisti, una terra gelosa di sé stessa, una terra in cui è facile perdersi. E forse aveva ragione. In Sicilia non li vogliamo i turisti, non li abbiamo mai voluti qui i turisti. Questa terra è nostra, e ne siamo gelosi. Qui la gente vuole restare così com’è, vuole continuare ad occuparsi della madre, del padre e dell’amore. Noi viviamo di cose essenziali, ed essenziale è il nostro modo di parlare e di esprimerci. La Sicilia è bella perché è circondata per intero dal mare. Lei è bella perché è sola, e soli sono quelli che la abitano.
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