CINEMA E TV
"Sicilian Ghost Story": una fiaba triste per raccontare l'orrore di una società confusa
Una fiaba triste che affascina e turba: è "Sicilian Ghost Story", film di Grassadonia e Piazza che ha aperto la "Semaine de la Critique": la recensione
Dopo il bellissimo e pluripremiato "Salvo", suggestivo film del 2013, i due registi raccontano di un'orribile vicenda di mafia consumatasi nel palermitano, quella del rapimento nel 1993, il 23 novembre a soli 12 anni, di Giuseppe Di Matteo, figlio di Santino, pentito e collaboratore di giustizia.
Un rapimento conclusosi tragicamente dopo 779 giorni, con l'uccisione del ragazzo per strangolamento e quindi con lo scioglimento del suo corpo nell'acido, secondo il più crudele e spietato stile mafioso. Era una "ferita aperta", come la definiscono gli stessi registi, una storia che andava raccontata e così è stato, secondo il loro stile ineguagliabile, asciutto e poetico, essenziale e magico.
La purezza dei volti dei due adolescenti, la purezza dell'animo di Luna che la porta a non cedere alla paura e all'omertà vigenti quando si rende conto che Giuseppe è stato rapito dai mafiosi, la purezza della speranza, una speranza che, nonostante tutto, nel racconto sembra pur esserci. Nonostante tutto quell'orrore preso in prestito dalla fiabe e mostrato senza veli ma anzi in tutta la sua orrida verità.
Perchè l'orrore non conosce vie di mezzo e soprattutto non deve essere dimenticato. Con pochissimi dialoghi e una strepitosa fotografia fra splendidi boschi e squallidi nascondigli, il film è una dura condanna a tutta una collettività di omertosi che fa della paura e della viltà l'unico modello di vita.
«Il figlio dell'infame non ci torna più a scuola»:
Una società confusa, quale è l'odierna con le sue innumerevoli contraddizioni, ha l'obbligo morale di mandare messaggi chiari, di ricordare che non ci si può abituare all'orrore, mai. E questo è quello che hanno fatto in maniera eccelsa i due registi.
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