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Quando l’amore familiare non è solo brodo di <i>ciciri</i>

Vivere a casa mia è diventato sempre più difficile. A parte la paura di mutazioni genetiche e l’incubo della crescita improvvisa di variopinti piumaggi, vista l’alimentazione a cui sono sottoposta, mi preme sottolineare lo stress che subisco quotidianamente. Tutto è iniziato quando mia sorella ha deciso di diventare vegetariana, scelta sacrosanta e rispettabilissima. Tre su quattro, l’alimentazione non era cambiata di molto. Poi l’equilibrio familiare è stato travolto da un altro infausto evento: la scelta di mio fratello di diventare macrobiotico. Ogni pasto è un test di fantasia e diplomazia. Mia madre si confonde, non sa cosa preparare e quanti pignatelli mettere per addobbare un pranzo, né cosa cucinare per accordare tutti con il minimo sforzo. In più non è un’amante della cucinata e approfitta del dramma per lavarsene le mani: il gioco è fatto! Da allora si è aperta una voragine. Nel mio stomaco intendo! Aprendo la credenza si trovano solo semi di aciddi: miglio, girasole, zucca; poi, per una pausa leggera e saporita: gallette di riso; per digerire meglio: alghe di vario tipo; aprendo il frigorifero si spazia fra una vasta varietà di condimenti e integratori macrobiotici: dal miso di riso, all’umeboshi ad alimenti vegetariani: hamburger di soia, tofu… cose che hanno tanto sapore e consistenza!

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Vorrei ben vedere cosa direbbe Freud se gli raccontassi che sogno salsiccie su tavole imbandite, che i gatti mi sembrano cunigghi e le manine dei vicini alucce di pollo! Altro che Elettra, qui c’è il complesso di Obelix! Uno degli alimenti che unisce tutta la famiglia sono i legumi. Per cui ne mangiamo a rotazione continua. Preparati rigorosamente senza aggiunzioni animali, purtroppo. Non ne posso più di fagioli e lenticchie, ma devo ammettere di avere rivalutato un legume per cui non ho mai fatto follie e che invece rappresenta uno dei piatti tipici della nostra tradizione: i ceci. Prepararli non è difficile, basta metterli in acqua la sera prima con un pizzico di bicarbonato per farli ammollare, poi sciacquarli e lessarli con qualche foglia di salvia. State attenti a cuocerli bene, affinché le cuticole si ammorbidiscano, non credo sia piacevole per nessuno mangiare cortecce! Nel frattempo soffriggete, nell’olio extra vergine, la cipolla tagliata sottile e il lardo capuliato, che a casa mia non mettiamo!, aggiungete la salsa di pomodoro e un po’ di rosmarino. Fate amalgamare il tutto per un quarto d’ora, poi unite i ceci e lasciate insaporire per altri dieci minuti. Infine spolverate con il pepe, aggiustate di sale e condite con un filo d’olio extra vergine, ovviamente. Sono ottimi serviti così, ma anche con l’aggiunta della pasta fanno fiura. Conservate l’acqua di cottura dei ceci, fatela bollire e calate gli attuppatieddi rigati, scolateli al dente e versateli nel tegame. Maneggiate per due minuti e servite. Si può fare anche la minestra, nel qual caso si deve mettere l’acqua di cottura dei ceci nel tegame con tutti gli ingredienti pronti e cuocere lì stesso la pasta. Sempre ditali rigati che mantengono la cottura. E a chi dice “E che è brodo ri ciciri?” a indicare una cosa inconsistente, potremo finalmente rispondere “Dipende che brodo!”.

L’abbinamento
I ceci appartengono alla categoria dei legumi, alimenti ricchi di proteine e carboidrati e poveri di grassi. Già dalla loro composizione possiamo trarre qualche indicazione sul giusto di vino da abbinare. L’alto contenuto di proteine, infatti, è generalmente responsabile di un accentuata salivazione in bocca e pertanto richiede un vino con un buon grado alcolico o una moderata astringenza. I carboidrati, invece, si manifestano a livello gustativo per la spiccata tendenza dolce che richiede vini freschi o effervescenti. Nella nostra preparazione si deve inoltre considerare la salsa di base utilizzata per il condimento, nella quale sono presenti diversi elementi che a livello gustativo esprimono variegate sensazioni: dalla tendenza acida del pomodoro, alla sapidità e grassezza del lardo all’aromaticità del rosmarino. E’ quindi necessario un vino di buona struttura e di buona morbidezza. Tra gli scaffali della vostra enoteca di fiducia suggerisco il Menfi Bonera, un vino Doc la cui produzione è consentita nella provincia di Agrigento.

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