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Nostra incomprensibile “Madre Città”

  • 19 settembre 2005

Salvo Licata, giornalista, scrittore e soprattutto drammaturgo, scomparso cinque anni fa, possedeva un’arte cruda ma significativa: saper raccontare la città nera. Stiamo parlando di Palermo e delle sue miserie, la "Madre Città", che il cronista de “L’Ora” separò con bella intuizione in nera e bianca: da una parte i vicoli e le vite incerte, dall’altra i salotti buoni e la borghesia tracotante. "Il mondo è degli sconosciuti" (Sellerio editore, 2004, pp. 289, euro 11,00) scandaglia e cerca di comprendere aldilà delle apparenze la città maltrattata, perché è ben chiaro che all’autore dei condomini prestigiosi, dell’ufficialità e delle sue nefandezze importa poco. Il libro è una raccolta di inchieste e racconti che abbracciano il periodo che va dalla metà degli anni ‘60 fino ai ‘90, un periodo oscuro per Palermo, quando la cosa pubblica era amministrata da veri fuorilegge e i corleonesi tessevano indisturbati le loro trame. Licata però ci narra un’altra storia, dove i protagonisti sono dei borderline, “gentuzza” abituata a transumare sulla linea di confine, equilibristi disgraziati che rischiano l’osso del collo per niente: scanazzati, sfardati, tosti, vappariusi. Per meglio capire il personaggio, ecco una breve intervista alla figlia Costanza, interprete questa estate della santuzza nell’opera teatrale “Il trionfo di Santa Rosalia”, portata per la prima volta in scena nel lontano ’77 proprio dal padre.

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Come possiamo battezzare la figura di Salvo Licata? Chi era, forse un raro intellettuale a cui piaceva battere strade che molti continuano ad evitare?
Sicuramente sì, mio padre era una figura poliedrica: giornalista, scrittore, drammaturgo, poeta che narrava in modo viscerale la città che tanto amava. Questo comportava dei rischi. Ad esempio, dopo avere scritto "Ehi, Coca!", un testo teatrale che parlava apertamente di droga, ebbe delle minacce. Era un uomo coraggioso, quelli erano tempi caldi, ma lui tignoso andava avanti, anzi pareva che il marcio lo attraesse.

Aveva uno sguardo critico nei confronti del cosiddetto sottoproletariato palermitano, o essendo una classe vessata dalla storia di questa città tendeva ad addolcirne i vizi?
Mio padre non faceva un’analisi né sociologica né moralistica. Narrava soltanto una Palermo di diversi e sconosciuti e il fatto che lui provenisse da una borgata penso avesse il suo peso. Ecco, possiamo dire che si sentisse molto vicino a loro, tanto che fece un’inchiesta intitolata I miei amici ladri. Poi il suo impegno civile era indubbio: è a lui che fu commissionata Q"L’orazione a Falcone e Borsellino" dopo le stragi.

Ci parli del suo rapporto con la Città Bianca.
Essendo una persona schiva non frequentava i salotti della Palermo bene, non sapeva vendersi e per questo veniva tagliato fuori da favori e privilegi. Amava dire: “Sono impermeabile alla cultura borghese”.

Quali erano i suoi autori di riferimento nella narrativa e nel teatro?
Non so se prendesse spunto da loro ma amava molto Vittorini e Ceronetti. Per quanto riguarda il teatro quando parlava del “genio” o del “mago” era chiaro che si riferiva a William Shakespeare.

Gli scritti di questo libro vanno dagli anni ’60 ai ’90. Chi, secondo lei, seguendo il solco tracciato da suo padre è stato in grado di aggiungere dell’altro alla sua ricerca?
Non vorrei essere polemica ma credo nessuno. Forse Scaldati per ciò che concerne la poesia.

Mi farebbe il nome di un’inchiesta e di un racconto contenuti in “Il mondo è degli sconosciuti” da far “girare” come testo scolastico?
Un po’ tutta la raccolta credo sia adatta ad essere adottata come libro di testo, perché i racconti e le inchieste sono scritti con una lingua in via di estinzione che andrebbe studiata. Il valore linguistico dell’opera di mio padre non dovrebbe essere trascurato.

Salvo Licata intellettuale aperto e pure sommerso? Come mai l’editoria si è accorta di lui solo dopo la sua morte?
Mio padre scriveva e conservava, per indolenza e per il suo essere schivo non ha mai raccolto i racconti con l’intento di pubblicarli, stavano nei cassetti, sparsi. Gli scritti del libro sono stati messi assieme grazie all’opera certosina di mia madre. La produzione nota ai più è quella teatrale.

Per finire, i vecchi “figghiozzi” di un tempo, Burruano & C., continueranno la pregevole opera di recupero iniziata questa estate con la messa in scena di “Il trionfo di Santa Rosalia”?
Sì, si continua. I prossimi spettacoli messi in scena saranno "Ohi Bambulé" e "Cagliostro dei buffoni" dove recupereremo altri due attori del nucleo storico caro a mio padre: Paride Benassai e Rory Quattrocchi, che non hanno potuto partecipare per impegni di lavoro al “Trionfo di Santa Rosalia” di questa estate.

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