ATTUALITÀ
No cultura, no sviluppo: gli Stati Generali a Roma
La cultura sottovalutata per 30 anni, è un moltiplicatore di sviluppo. Tra i relatori il Sovrintendente del Massimo, Antonio Cognata
Giovedì scorso sono andata a vedere uno spettacolo interessante. Ironico, agrodolce, con un retrogusto amaro. Non sorprendente, ma perfettamente in linea con il periodo. Avveniva al teatro Eliseo, a Roma.
Una grande opportunità per discutere di cultura oggi, in un momento storico critico dove in crisi c’è la vita di ognuno di noi: il Sole 24 ore, a seguito del lancio del Manifesto per la Cultura pubblicato lunedì 19 febbraio sul Domenicale, “Niente cultura, niente sviluppo”, ha indetto gli Stati Generali della Cultura. Un evento promosso dall’Accademia dei Lincei e l’Istituto della Treccani, insieme al maggior quotidiano economico d’Europa, il tutto sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica. Un grande “conclave”, sul palco dell’Eliseo, che da teatro privato tra i primi in Italia, si fa sempre più scenario di messa a fuoco di problematiche legate all’immensa voragine creata dal disinteresse e la superficialità con cui è stata gestita la cultura da 30 anni a questa parte.
E per cultura, anche se sembra abbastanza superfluo ribadirlo (ma in vero non lo è mai) intendiamo ciò che contribuisce in modo sostanziale allo sviluppo di ciascun essere umano e quindi di ciascun cittadino; cultura come Beni Culturali, ma anche come qualità della vita, bagaglio necessario che crea valore, valore che ancora oggi nel XXI secolo, viene riconosciuto con fatica e spesso solo grazie a battaglie culturali come quelle dei lavoratori dello spettacolo del Teatro Valle Occupato e Garibaldi Aperto ma anche di tutti quegli altri spazi in lotta, che siano occupati o no, per un sistema culturale più sensato, meglio organizzato, con meno ingerenza politica e più rispetto per il lavoro e i lavoratori dell’immateriale.
Un’opportunità dunque. Ma, persa? Di certo una vetrina immobile, fatta di manichini non troppo brillanti, più che stati generali qualcuno li ha chiamati “mercati” generali. Questo accadeva alla mattina (ma anche al pomeriggio) di giovedì 15 novembre, d’un tratto scaldato dal dissenso “urlato”, ma anche arricchito di contenuti che hanno cercato di elevare la discussione imbalsamata del ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi e il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, i più contestati. I contestatori erano comuni cittadini, ma anche un gruppo “riconoscibile” di lavoratori dello spettacolo del Valle Occupato. Uno spettacolo, sì, che ti faceva a tratti sorridere di un riso amaro di cui oggi siamo stanchi un po’ tutti, ricchi e poveri, lavoratori precari e meno precari, per una platea «effervescente come il Sulcis», così l’ha definita il terzo ministro più contestato, Fabrizio Barca.
Una lite tra amanti («Ma che fai - ha detto una donna - la stai guardando?». E l’uomo: «No, sto guardando il ministro Ornaghi» ha spinto la Digos a chiedere ai due i documenti: «Che scriviamo? Lite tra amanti?»); un lavoratore dello spettacolo ha chiesto ad Ornaghi di parlare di politica culturale e non di economia; una giovanissima ha chiesto in quale modo potersi formare quando i finanziamenti vengono tolti alle scuole pubbliche a favore delle private. Una legge di stabilità che taglierà al Ministero dei Beni culturali, notizia fresca di qualche giorno, 103 milioni di euro.
Un solo “gladiatore”, nell’arena, il presidente Giorgio Napolitano è rimasto impassibile. Ma nel suo discorso, appassionato e duro, non ha risparmiato nessuno, riconoscendo la fondatezza delle critiche: «Sui tagli bisogna fare scelte e non si possono fare sempre sulla tutela della ricerca, della cultura, del patrimonio. L’assillo dell’Italia è lo sviluppo. Bene: la cultura è un moltiplicatore di sviluppo».
Anche parole positive su questo governo, come il perseguimento del recupero e la riprogrammazione delle risorse dei fondi europei, anche se un accenno ai fondi per il Mezzogiorno ha ricordato quanto poco e male siano essi stati spesso sfruttati e organizzati.
Il Presidente conclude: «Capisco tante interruzioni, ho fatto il comiziante (applauso, n.d.r.). Oggi faccio un altro mestiere e quindi dico facciamo valere le nostre legittime preoccupazioni, esigenze, proteste, ma con il massimo sforzo di razionalità e responsabilità perché solo così possiamo portare la cultura più avanti e il paese fuori dalla crisi». Il pomeriggio è proseguito con meno veemenza e meno proteste, ma anche meno pathos, se non per, a mio avviso, due tra i più interessanti interventi della staffetta di relatori che si è susseguita. Il tema: “economia della cultura: idee e proposte”. Il professor Pierluigi Sacco è forse stato tra i più costruttivi e meno retorici, insieme al direttore artistico del Teatro ospitante la manifestazione, Massimo Monaci, entrambi concretamente propositivi. T
Tra i relatori anche il sovrintendente del teatro Massimo, Antonio Cognata, presentato al pubblico come colui che nonostante abbia riportato il bilancio del Massimo in pari, sia stato attaccato e contestato dal Sindaco Leoluca Orlando, presidente del Teatro per statuto. Cognata ha glissato sull’argomento e deciso di ottimizzare i suoi 12 minuti su temi attinenti alla giornata di lavoro: è stata soprattutto messa in luce le specificità della lirica, genere che potrebbe essere tra i consistenti vanti anche economici del Paese, chiedendo tempi più brevi nelle approvazioni dei bilanci degli apparati teatrali.
In apertura di sessione, dopo un intervento del Presidente della Commissione Cultura Confindustria, Alessandro Laterza, che trovava un punto di incontro tra pubblico e privato sul piano della fiscalità, Sacco ha sfruttato i suoi 12 minuti ricordando non soltanto della quantità di risorse che il nostro paese possiede in termini di menti creative, ma anche dell’importante rapporto tra partecipazione culturale e benessere che ridurrebbe del 5% le ospedalizzazioni. «Con la cultura in Italia mangiano oltre 200.000 persone, più della Fiat e dell’Alitalia, oltre 30.000 sono soggetti, pubblici e privati, che si occupano di cultura svolgendo una funzione sociale importantissima». Questo uno dei nodi centrali del discorso di Massimo Monaci, che ha continuato il suo ragionamento attorno all’idea che la sostenibilità dello sviluppo economico debba essere direttamente proporzionale ad uno sviluppo culturale altrettanto sostenibile.
Le argomentazioni di ogni relatore si concludevano con una lista concreta di punti a cavallo tra idee e proposte fattive: più politica della cultura che nella cultura, reinvenzione del FUS volta al superamento della dicotomia tra pubblico e privato, accettazione fattiva e definitiva del valore e della diversità dell’immateriale rispetto alle altre professionalità e lavori. Questi solo alcuni dei punti proposti da Monaci, e non da lui soltanto. La giornata si è conclusa con un intervento del Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera: «La cultura è la piattaforma su cui puntare nei prossimi anni per la ricostruzione dell’Italia. Il fisco negli altri paesi incoraggia di più il mecenatismo. Oggi i soldi sono pochi, ma destinarli alla cultura deve essere una priorità futura per il Paese».
Parole? Beh, si certo, parole di sicuro. Nel frattempo, continuiamo in tutti i modi a prendere parte attiva alle decisioni del nostro paese.
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