CINEMA E TV
"Memorie di una geisha", vite lontane, così vicine
Memorie di una geisha (Memoirs of a geisha)
U.S.A., 2005
Di Rob Marshall
Con Zhang Ziyi, Ken Watanabe, Michelle Yeoh, Gong Li, Koji Yakusho, Suzuka Ohgo, Kaori Momoi, Cary-Hiroyuki Tagawa, Zoe Weizenbaum, Youki Kudoh
Una bambina si dispera su un ponte quando un uomo dall’aspetto generoso si avvicina con dolcezza offrendole poi un cono col ghiaccio dolce. La piccola allora accenna ad un leggero sorriso che le illumina gli occhi limpidi: è questo uno dei tanti momenti toccanti del film “Memorie di una geisha”. La bimba è infatti Chiyo (interpretata da Suzuka Ohgo), colei che diventerà l'illustre geisha, e scopriamo presto che l’uomo è il Direttore Generale (Ken Watanabe), un affarista che entra sin dalla tenera età nel cuore della protagonista. Il loro è un amore impossibile che accompagnerà la fanciulla nel corso della sua tormentata vita e solamente il ricordo di quel delicato momento le darà la forza per sopportare ogni cosa. Il teatro di questo racconto d’infanzia negata è Kyoto. Siamo nel 1929 e la piccola già all’età di nove anni viene venduta come serva dalla sua famiglia ad una geisha che le fa da madre (l’attrice che la impersona è la straordinaria Kaori Momoi che ha lavorato a fianco di registi come Kurosawa e Imamura, vista recentemente in “Il sole” di Sokurov). Quando i parenti muoiono, Chiyo è costretta a subire le umiliazioni della perfida geisha Hatsumomo (una splendida Gong Li) la quale, peraltro, si concede in segreto ad un uomo. Presto impariamo che l’elemento protagonista di questo film è l’acqua: l’acqua capace di generare la pioggia e spegnere il fuoco, l’acqua che si riflette nello sguardo ideale, quella grazia necessaria ad una vera geisha. Ed è la più veterana e rinomata tra le geisha, Mameha (Michelle Yeoh), a pagare i debiti di Chiyo che, nel frattempo, è cresciuta e ha assunto i lineamenti della bellissima Zhang Ziyi.
La sua esperienza teatrale lo ha condotto a reinventare con scrupolo gli ambienti e ad affidarsi alle suggestive coreografie del suo abituale collaboratore John DeLuca. Il bel montaggio è affidato a Pietro Scalia e l’ammaliante colonna sonora originale a John Williams, che sfrutta con dovizia un impasto orchestrale a cui si aggiungono strumenti tradizionali giapponesi, con la preziosa collaborazione di Yo-Yo Ma al violoncello e di Itzhak Perlman al violino. Le star di questo film sono cinesi: e oltre a Zhang Ziyi e Gong Li c’è la malese Michelle Yeoh. Al di là degli scrupoli filologici relativi ad un film d’ambientazione giapponese, quello che conta è che lo spettacolo funziona con la fluidità necessaria. E’ impossibile non cogliere i richiami più diretti ai film di Zhang Yimou e di Chen Kaige, “Lanterne rosse” e “Addio mio concubina”, ma il film sa sfruttare con originalità lo spunto classico del racconto, con al centro uno straordinario numero di danza di Sayuri, modellato sull’arte del teatro Kabuki. Memore delle indimenticabili produzioni hollywoodiane di una volta, il film di Marshall è una storia universale con tutti gli ingredienti lievitati al punto giusto. Del resto, il racconto di una vita in forma di saga è di per sé una retorica seducente. Non è difficile identificarsi nella parabola di questa donna che affronta le asprezze di una lotta per la sopravvivenza, che subisce le proprie metamorfosi attraverso la disciplina, che è costretta ad affrontare un amore impossibile e l’implacabilità del Tempo. Una donna che, sul finale (in voce "off") dice, di non essere né imperatrice né regina ma solo una geisha che incarna un destino comune di perdizione, così lontano e così vicino.
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