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"Mare Nero", l'abissale sapore del desiderio

  • 28 agosto 2006

MARE NERO
Italia, Francia, 2006
Di: Roberta Torre
Con: Luigi Lo Cascio, Anna Mouglalis, Maurizio Donadoni, Andrea Klara Osvart,
Massimo Popolizio, Monica Samassa, Rossella D’Andrea

Ogni noir che si rispetti ha la sua sfumatura color sangue. Qui, su una camicia bianca, il sangue si raggruma inesorabile come segno di ferite non rimarginabili. Tutto comincia in un giorno qualunque, il giorno maledetto in cui viene ritrovato il cadavere di una giovane studentessa, Valentina Martini (l’attrice è Andrea Klara Osvart vista di recente nel “Casanova” di Lasse Hallström). A sporcare di sangue la propria camicia è Luca (un Luigi Lo Cascio sofferto e vibrante), ispettore di polizia scrupoloso e sensibile. Un delitto come tanti altri, destinato ad alimentare la cronaca nera, uno dei tanti file da archiviare in attesa di una possibile soluzione.

Così prende il largo questo nuovo, suggestivo, evocativo, bel film di Roberta Torre, “Mare nero” (il suo quarto lungometraggio che scandisce la scoperta di una Napoli trasfigurata e l’abbandono della Palermo barocca e pop), visto in concorso all’ultima edizione del Festival di Locarno. E’ un noir torbido e sensuale, onirico e allucinato come hanno saputo esserlo i migliori esemplari di un genere antico quasi quanto il cinema. Qui il riferimento ai classici degli anni quaranta è evidente, ma la Torre sa lavorare sapientemente con gli stilemi, è un’autrice intensamente moderna e la sua visionarietà si apparenta con quella di David Lynch, venata di sfumature metafisiche.

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Anche il suo precedente “Angela” era un melò che indugiava al noir, una storia dura e tagliente, un teorema sull’amore “nero” che conduce negli impervi labirinti della nostra identità. Lo stesso può dirsi per questo racconto di un’indagine che si tramuta in ossessione, in un’annichilente discesa agli inferi, nei territori di un desiderio che porta le stimmate della mascolinità in crisi, depressa e repressa nelle spire del sesso senza amore. Il detective Luca ha una fidanzata francese, Veronica (un’intensa Anna Mouglalis).

Scopriamo la coppia intenta in un trasloco, impegnata a dare stabilità al proprio legame. Come accade in molti neo-noir dal retrogusto esistenziale è l’indagine di Luca a provocare la fatale caduta, svelando un’inquietudine repressa, scoprendo le lancinanti incertezze che piegano le identità alle regole dell’inconscio. Come nel sottovalutato “Cruising” di Friedkin anche qui il protagonista s’immerge nella rovente atmosfera dei locali proibiti, delle “dark room” dell’eros (altro riferimento può essere il “Velluto Blu” lynchiano), la dimensione parallela degli “scambisti”.

Per il nostro, scoprire la vita proibita della giovane studentessa uccisa è un modo per confrontarsi con le proprie tentazioni represse, una decisiva spinta oltre le regole del gioco, ai confini della legalità. A guidarlo, d’ora in poi, saranno le sue più recondite paure: alla fine, la macchia di sangue è trasformata in un profondo rosso, un pozzo, degno delle discese di Poe da cui sarà difficile risalire. Controllato mix d’intenzionalità autorale e di puro divertimento cinematografico, il film è diretto con consumata accortezza, avvalendosi del bel lavoro alla fotografia di Daniele Ciprì, fondamentale nel descrivere la dolorosa intimità della coppia quando s’immerge nello spettrale e impudico universo della libido.

La Torre è assai abile nell’alludere a ciò che non può essere mostrato: il suo è un occhio pudico ma caldo nel suo disincanto, un punto di vista femminile che si schiera dalla parte dei corpi mercificati in un’occasione di scambio. A conferire densità al film contribuiscono pure l’avvolgente colonna sonora di Shigeru Umebayashi, geniale compositore per Wong Kar-wai e Zhang Yimou e il raffinato montaggio di Jacopo Quadri.

L’acuta sceneggiatura, con dialoghi perfettamente equilibrati, reca la firma della Torre assieme a quella di Heidrun Schleef: un magnifico duo femminile capace di mostrare una sensibilità speciale nel sondare le pulsioni degli impercettibili movimenti emotivi dei personaggi. La superficie nera della coscienza è fatta della stessa materia dei sogni: la metafora iniziale del notturno ritrovamento in mare aperto del “Satiro danzante nel momento dell’estasi”, inquietante statua d’avorio (allusione rovesciata al fallico “Falcone” di Hammett- Houston?) è un’indicazione di percorso, così come le inquadrature speculari di un acquario o del dedalo di corridoi dove, nel commissariato, sembra perdersi incerto il protagonista, prima di iniziare il fatale viaggio dentro se stesso.

Nella grana colorata del sogno che si trasforma in incubo è immersa la partita di cui questo film ci racconta, nella doppia verità d’ogni persona e quindi d’ogni maschera, quando la realtà si nega all’evidenza e l’unica cosa che conta è lo sguardo, ad “occhi spalancatamente chiusi”, come ci ha insegnato Kubrick. Anche per Roberta Torre un risveglio non è mai tale se non interviene il cinema a regalare luci ed ombre agli spettatori, ad aprire le nostre teste, a concederci un’indispensabile libertà percettiva. Il suo “Mare nero” fa parlare gli specchi, in un riflesso concreto di materie che allude alla disperata ricerca di un amore impossibile. E’ il tema portante del noir, il confronto con l’abissale consistenza della realtà, lo scenario dove la paura si confronta col desiderio e la vita con la morte.

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