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Makhmalbaf, il bacio della memoria e una riflessione sull'eros

  • 21 aprile 2006

SESSO E FILOSOFIA (Sex & Philosophy)
Francia, Iran, Tajikistan, 2005
Di: Mohsen Makhmalbaf
Con: Daler Nazarov, Mariam Gaibova, Farzana Beknazarov, Tahmineh Ebrahimova, Malohat Abdulloeva

Com’è noto, il rosso è simbolo di passione amorosa. Una scarpa, un bicchiere pieno di vino, un ombrello, una parete, la tenda della cabina del pilota di un aereo. E’ il rosso, evocatore di passione impenetrabile, ad essere continuamente evocato in “Sesso e filosofia”, il nuovo, poetico film di Mohsen Makhmalbaf. Quello del regista di Teheran è un cinema di segni forti, di immagini allusive e di suoni concreti che rimandano ad imperscrutabili silenzi interiori. Questo piccolo capolavoro di finezza è ambientato nel Tagikistan dove già Makhmalbaf aveva girato l’armonioso “Il silenzio”, film sull’arte intesa come percezione sonora, protagonista un bambino cieco. In “Sesso e filosofia” l’armonia impera come in una danza macabra che conduce i fremiti amorosi di un uomo che, in solitudine, festeggia il proprio cinquantesimo compleanno. E’ una memoria di amore inusuale in un mondo dove è il sesso a dominare, una memoria che conduce suggestioni di straziante purezza. Certamente non è lo stesso rosso, non è lo stesso dolore protagonista di quel memorabile capolavoro di Bergman che rimane “Sussurri e grida”, “quattro donne vestite di bianco in una stanza rossa” svisceravano le loro identità lacerate all’ombra della malattia.

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Innocenza, vendetta, piacere, nostalgia, desiderio: sono gli alterni sentimenti e le mutevoli ragioni che animano le quattro donne complici riottose del protagonista. Quattro donne che lui decide di rincontrare il giorno del proprio compleanno, per assaporare il godimento dell’estasi analitica, come Don Giovanni o un personaggio di Shakespeare. Il luogo del fatale appuntamento è la scuola di danza che l’uomo gestisce, lo spazio di un teorema dove si anima un confronto col vuoto, con la tentazione e la paura della solitudine. Pedine di questo gioco sono una giovane hostess di cui il protagonista si è innamorato un giorno durante un volo, un’altra donna che indossa scarpe di diverso colore incontrata una notte su una scalinata, una affascinante dottoressa e una matura signora. Quattro identità femminili, quattro facce di una identità unica, simbolo delle felici stagioni di John (questo il nome dell’uomo interpretato dal bravo Daler Nazarov). La macchina da presa di Makhmalbaf ci regala il respiro di magnifiche sequenze danzate e di suggestive incursioni impressionistiche che indicano il variegato divenire di eventi naturali, la stagione delle foglie morte e la pioggia che investe un gruppo di persone intente ad ascoltare la voce di un poeta. La parola come musica in un film composto rigorosamente come una partitura.

John viaggia in automobile portando dietro di sé un fisarmonicista cieco che lo allieta con le sue melodie mentre con un cronometro misura i propri momenti di felicità. Nel segno del tempo la nostalgia del passato riaffiora come un presente vivido ed intenso: la vita è un rituale sull’orlo di un abisso spesso irreale come un sogno. Il sesso è una dolce, concreta astrazione quando è in sintonia con il linguaggio oscuro e complesso dell’amore, l’apice irresistibile di un processo che conduce ad una specie di felicità. Ma serve davvero a qualcosa misurare i nostri istanti di godimento? E fino a che punto è possibile coniugare il bisogno di una superiore qualità del gesto erotico con la forsennata nevrotica rincorsa ad un egotismo avido di sensazioni da consumare feticisticamente, alla volgarità dell’oggi, insomma? La lotta di cui ci parla il film di Makhmalbaf è questa: una soluzione può essere l’illusione, la ricreazione artificiale di un paradiso possibile. Così le quattro donne (straordinarie attrici di cui ricordiamo i nomi, Mariam Gaibova, Farzana Beknazarov, Tahmineh Ebrahimova, Malohat Abdulloeva) esprimono la fine di un percorso di affinità elettive. E’ John l’uomo in cui molti di noi possiamo specchiarci, alimenta invece con la danza la magnifica ossessione di un legame inscindibile fatto della stessa seducente materia di cui è fatta la memoria.

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