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Lettere da Iwo Jima, parole di guerra

  • 19 febbraio 2007

Lettere da Iwo Jima (Letters from Iwo Jima)
U.S.A., 2006
Di Clint Eastwood
Con Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Tsuyoshi Ihara, Ryo Kase, Shidou Nakamura, Nae

Parole come pietre. Parole di chi conosce l’insondabile profondità e il significato primo del dolore e della pietà, paradigmi obbligatori coi quali occorre fare i conti quando si devono illustrare le tenebre e i bagliori di ogni guerra. Con ispirata generosità da autentico autore impegnatosi in un’impresa che non ha eguali nella storia del cinema, ovvero raccontare un tragico evento reale a 360 gradi da prospettive opposte, Clint Eastwood trae spunto dalle lettere dei soldati giapponesi sconfitti nella decisiva battaglia di Iwo Jima per questa seconda parte del suo dittico, speculare a “Flags of Our Fathers” (film poco amato dal pubblico americano, costato 55 milioni di dollari per un incasso di appena 8), magistrale ed impietoso je accuse nei confronti di un’America ingolfata nei cinici giochi mediatici che trasformarono gli eroi di quella battaglia in maschere al servizio di una facile retorica patriottica. Paradossalmente, questo “Lettere da Iwo Jima”, sensibile avvicinamento alle contrastanti ragioni del “nemico”, conquistando i botteghini giapponesi con un incasso di 40 milioni di dollari (essendo costato meno di otto), ha condotto Eastwood sulla soglia di una inaspettata, nuova consacrazione con ben 4 nomination ai prossimi Oscar. Ed, in effetti, di capolavoro si tratta, concentrato sulla figura del generale Tadamichi Kuribayashi (un magnifico Ken Watanabe) intelligente e carismatico stratega, in grado di esibire rispetto nei confronti della cultura occidentale (grazie alla sua esperienza in America) ed usare con astuzia le proprie raffinate conoscenze nell’elaborare geniali tattiche che utilizzarono come postazioni le rocce vulcaniche dell’isola.

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Proprio dalla sua corrispondenza con la moglie è scaturito il romanzo “Picture Letters from Commander in Chief”, base per la sceneggiatura del film scritta dalla nippoamericana Iris Yamashita che ha sviluppato un proprio soggetto con la collaborazione di Paul Haggis. Altra figura rilevante della vicenda è quella del soldato Saigo (Kazunari Ninomiya), panettiere votato nel pensiero alla moglie e alla figlia neonata mai conosciuta, un personaggio struggente che incarna tutti i timori e tremori di una identità a confronto con l’inferno della guerra e delle sue componenti disumane. E' nell’oscurità fisica e morale che vivono i militari giapponesi di “Lettere da Iwo Jima”, nello smarrimento di una illusione di vittoria, nella masochistica esaltazione che conduce ogni ideale aberrante. Il generale gentiluomo, con la sua orientale fierezza ed affabile erudizione (che gli fa impartire addirittura una lezione sulla cultura americana ad un marine suo prigioniero), è l'emblema (assieme all’ambito trofeo strategico del Monte Suribachi) di un fallimento ideologico e di un’assurda degenerazione bellica che costò uno dei massacri più impressionanti della Storia in cui persero la vita ventimila giapponesi e settemila americani. Con un’asciuttezza realistica che fa propria la lezione di Jean Renoir adattandola ai contemporanei schemi epico - estetici di Spielberg (produttore, non dimentichiamolo, di entrambi i film), Eastwood ci mostra l’orrore di un inutile martirio culminato nel gesto suicida dei militari nipponici assediati nelle caverne indicando nel contempo la tenerezza della nostalgia virile quando questa si scioglie in un commovente abbraccio (che qui è un flashback) tra un giovane soldato e la sua donna prima del richiamo al fronte.

E’ un cinema capace di convertire le parole in immagini, mai retorico e assai coraggioso nel porre in primo piano, ad esempio, la riflessione su una lettera materna destinata ad un marine e arrivata troppo tardi, trasformata in un universale messaggio d’amore. Con una magnifica materica fotografica di Tom Stern che asciuga i colori esaltando iperrealisticamente il rosso del sangue durante le esplosioni sul campo di battaglia ridotto a macello, con gli studiati contrappunti della morbida colonna sonora elaborata (per pianoforte ed orchestra) da Kyle Eastwood e Michael Stevens, “Lettere da Iwo Jima” s’inscrive da autorità nella migliore tradizione del cinema antibellico evocando specialmente il lirismo e l’astrazione epica degli indimenticabili film di Kon Ichicawa, “L’arpa birmana” e “Fuochi nella pianura”. Risulta assai efficace la scelta di presentarlo in lingua originale coi sottotitoli: in caso contrario si sarebbe persa gran parte dell’efficacia di questa sapiente visualizzazione di parole comuni che sanno raccontarci di una tragedia trascorsa della Storia. Una tragedia che si è già ripetuta più volte, nel corso delle più recenti guerre, e che, non dimentichiamolo può ancora ripetersi.

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