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“La sposa cadavere”, cuori rivelatori

  • 31 ottobre 2005

La sposa cadavere (Tim Burton’s Corpse Bride)
Gran Bretagna, 2005
Di Tim Burton e Mike Johnson
Con le voci originali di Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Tracey Ullman, Paul Whitehouse, Emily Watson, Joanna Lumley, Albert Finney, Christopher Lee

Ricordate John Skellington? Da noi il suo nome fu tradotto in Skeletron, principe di Halloween, protagonista di quel gioiello in stop motion, “Nightmare before Christmas”, che Tim Burton ideò e produsse nel non troppo lontano 1993, affidando la regia a Henry Selick. Quella malinconia romanticamente dark ci aveva completamente conquistati, come il raffinato segno di quel capolavoro sostenuto dalla suggestiva colonna sonora di Danny Elfman che riecheggiava i musical di Kurt Weill. La stop motion, celebre tecnica inventata da Ray Harryhausen negli anni ’50, ha continuato ad affascinare il genio creativo di Tim Burton che, durante la lavorazione di “La fabbrica di cioccolato”, si è tuffato nella realizzazione di un altro blockbuster animato, “La Sposa Cadavere”, dirigendolo a quattro mani con Mike Johnson (che era già stato uno degli artefici di “Nightmare before Christmas” e di “James e la pesca gigante”). Presentato fuori concorso all’ultima edizione veneziana, “La Sposa Cadavere” è un vero gioiello, con la sua grafica ancora più sofisticata, con la sua tenuta narrativa, qualità queste che confermano l’abilità di Burton, grande affabulatore dello schermo. La storia di questo film s’ispira ad una fiaba della cultura popolare russa di matrice ebraica, che narra dei tempi nei quali le donne ebree in Russia venivano assassinate il giorno del matrimonio e seppellite con l’abito da sposa. Qui siamo nel centro dell’epoca vittoriana in una cittadina dall’aspetto cupo dove il destino di Victor (la cui voce originale è del fedelissimo burtoniano Johnny Depp) e di Victoria (voce di Emily Watson) viene deciso dalle rispettive famiglie.

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Nell e William Van Dort (voci di Tracey Ullman e Paul Whitehouse), i genitori di Victor, si sono arricchiti con la vendita dei pesci in scatola, da autentici parvenù da “Miseria e nobiltà”. Al contrario, Maudeline e Finis Everglot (voci di Joanna Lumley e Albert Finney) sono una famiglia veramente aristocratica, che vanta una discendenza col Duca di Everglot, però rimasti senza denaro e la cui figlia, Victoria, è cresciuta nell’ombra. Nasce così un accordo tra le due famiglie per combinare il matrimonio tra Victor e Victoria. I due giovani sono timidi ed impacciati e per Victor le cose non si mettono bene quando in chiesa pronuncia in modo disastroso la sua promessa di matrimonio al punto da mandare a fuoco l’abito da sposa ed essere cacciato via dal pastore Galswell (voce di Christopher Lee). Victor, rimasto solo, prova a riformulare la fatale promessa di fronte ad un cipresso, nella foresta, usando un ramoscello come prova. Così viene evocata dalla Terra dei Morti la Sposa Cadavere (voce di Helena Bonham Carter, nella vita la moglie di Burton), che il giovane si ritrova come moglie. Mentre nella Terra dei Vivi la vita scorre noiosamente (la stupidità umana che rende grigio il nostro mondo è una delle tante sottili metafore che lancia Burton), nella Terra dei Morti si divertono tutti, i pub sono pieni di gente, si balla e si canta (tra le citazioni c’è quella di uno scheletro con i baffi che pronuncia, abbracciando la sua bella, la celebre battuta del Clark Gable di “Via col vento”, “Francamente, me ne infischio”).

Ci sono pure gli scheletri che danzano, alla maniera delle Silly Simphonies, “The Skeleton Dance”, mentre la musica di Danny Elfman mescola mirabilmente accordi malinconici con il ritmo jazz degli anni ’30 (nella versione originale Elfman stesso doppia quattro personaggi tra cui è indimenticabile Mr. Bonejangles che ricorda Cab Calloway). Tra le sequenze emblematiche di questo suggestivo mix di umorismo e poeticità soffusa, c’è quello della Sposa Cadavere che piangendo perde un occhio (come certi personaggi reali di Maresco e Ciprì), immediatamente soccorsa dal suo Victor che, dopo averlo ripulito, glielo restituisce. Il rapporto tra i due strampalati amanti ha una sua commovente verità: amore tra diversi? Forse. Amore senza le lusinghe della carne? Può darsi. Fatto sta che la favola macabra di Burton funziona, con la sua morale alla Edgar Allan Poe sul cuore rivelatore. La verità e che l’autore di “Edward mani di forbice” e di “Ed Wood” ha composto un altro pezzo d’arte da inserire nella sua galleria cinematografica dove si celebra l’elogio dei perdenti e dei freaks più nobili (come quelli di alcune storie di Edward Bloom narrate in “Big Fish”). Non dimenticheremo facilmente questa grottesca, incantevole sua Sposa del mondo dei cadaveri troppo umani, un personaggio di struggente tenerezza, pura come l’ideale femminile di antichi sonetti. Non dimenticheremo questa bella prova del fascino irresistibile del cinema che ancora, ci insegna Burton, può alimentarsi di passato guardando al suo e al nostro futuro.

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