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La frittella troppo bella

La definizione di “permanente alle carni”, un tempo utilizzata per indicare un trattamento estetico doloroso, ma molto in voga, oggi, con uno spostamento di campo semantico, ha assunto un significato diverso. Indica la strana consistenza della pelle, arrappatizza, prodotta dal freddo, dalla permanenza in acqua per due, tre ore, dall’ascolto di eresie che minano l’essenza dell’identità. Sperimentate la lettura di castronate quali l’utilizzo del burro nelle nostre ricette, o della panna nel pesto trapanese, valuterete i sintomi riportati! E' come pretendere di trovare il frutto della passione nelle nostre campagne, vicino agli ulivi. Ma che nicchi e nacche? Io provo lo stesso orrore che proverei se fossi in fuga in una sperduta isola della Papuasia e vedessi sbarcare suocera e cognata con prole al seguito. Blocco ematico, assantumo e stato di confusione mentale.

Una delle ricette agresti più buone e delicate è la frittella, piatto a base di primizie primaverili. Da paese a paese la ricetta varia: a Polizzi Generosa si utilizzano 1 kg di fave, 500 gr di piselli, 5 carciofi, un mazzetto di finocchietto selvatico, quello che si usa per la pasta con le sarde, aglio, cipolla, pancetta, sale e pepe. Si rosola la cipolla tritata con la pancetta, si aggiunge l’aglio e i finocchietti, i carciofi a fettine, infine fave e piselli. Si fa cuocere a fuoco moderato e si utilizza anche come condimento per la pasta. Così si prepara anche a Catania. A Isnello, invece la frittella è una sorta di purea, agrodolce, in cui non ci sono né aglio né pancetta.

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Nel capoluogo la ricetta si semplifica, ma è necessario saggiare la tenerezza degli ortaggi, fondamentale per la riuscita del piatto. Occorrono 1 kg di favette, 1 kg di pisellini, che non siano palline da caccia, 12 carciofi. In un tegame largo ammorbidite 1 cipolla, tagliata grossolanamente, con un po’ d’acqua e di olio. Unite i carciofi a fettine, ovviamente privati delle spine, le favette e in ultimo i piselli. Salate e pepate secondo gusto. Lasciate cuocere a fuoco moderato e tegame coperto. Quando tutti gli ingredienti saranno cotti, aggiungete un bicchiere scarso di aceto con due cucchiaini di zucchero. Fate evaporare e servite rigorosamente fredda. Vi consiglio di inserire questo piatto in un menù rustico: caciocavallo fresco, sasizza sicca, salamino dei Nebrodi, alive atturrate, panuzzu ri paisi, se la trovate, la ricotta fresca, insalatone varie e in fundo, visto che è il periodo, ‘na bella cassata, che cci fa fiura. Vi assicuro che i commensali gradiranno il pasto, elogiando la leggerezza delle portate, e voi non dovrete sentire i mugugni delle maniache silfidi, che potranno mangiare senza le lamentazioni conseguenti, con grande riconoscenza di tutti gli invitati.

L’abbinamento
In tutti i nostri incontri abbiamo costantemente sottolineato come sia necessario valutare preliminarmente le sensazioni gustative di un cibo nell’accostamento del vino. Il punto di partenza è e deve essere sempre il cibo, perché è solo attraverso la considerazione delle sue variabili organolettiche che l’attento degustatore potrà, come il sociologo dinanzi ad una ricerca statistica, eliminare o allargare il campo d’azione della sua indagine o addirittura convenire, ma sempre secondo la coscienza scientifica di cui dispone e che motiva la sua professione, di sospendere il suo cammino esplorativo. In quest’ultima opzione si può riassumere quello che è stato fatto dal sottoscritto negli ultimi giorni.

L’armonia sensoriale non è solo un concetto ideale ma è qualcosa che deve essere verificata, pur nell’assoluto soggettivismo che caratterizza l’umano, e che pertanto può essere riscontrabile, poco percettibile o addirittura inesistente. Ebbene il nostro piatto, considerata la presenza dei carciofi che contengono una particolare sostanza in grado di rendere piuttosto amaro e sgradevole qualsiasi vino, e la spiccata tendenza acida dell’aceto aggiunto durante la sua preparazione, non può trovare alcun abbinamento nel vino. L’aceto, soprattutto se come in questo caso ne è la sensazione dominante, altera in modo sensibile le papille gustative della bocca: il senso del gusto è totalmente sopraffatto da un sapore particolare e distinguerà male, o non distinguerà affatto, gli altri. In queste condizioni raggiungere un risultato è praticamente impossibile. Il vino sarebbe, quindi, sprecato ed è opportuno sostituirlo con bevande più “umili” come l’acqua.

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