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L’amore non basta mai: memoria di famiglia

  • 10 ottobre 2005

L’amore non basta mai (Masjavlar)
Svezia, 2004
Di Maria Blom
Con Sofia Helin, Kajsa Ernst, Ann Petrén, Lars G. Aronsson, Willie Andréason

Ci sono momenti nella vita in cui crescono gli echi del rimpianto, quando ciò che abbiamo rimosso affiora all’improvviso, come per esplodere. Sono i momenti della riflessione, dell’elaborazione dell’ansia, alla ricerca di una estrema fuga. E’ l’unica possibilità che ci è data di accorgerci dei nostri errori, delle nostre mancanze, dando così un senso ai nostri piccoli e grandi dolori. Tante, troppe volte, nel frenetico andazzo della nostra quotidianità, il ritmo della vita ci fa incoscienti, bloccati nei gesti e nelle parole, in quell’afasia emozionale che impedisce spesso il dialogo tra gli umani. Ma questa è la vita, qui e ora, questo è il comune destino che ci fa deboli, incerti quando ci confrontiamo con ostacoli che ci sembrano insormontabili, quando non ci restano che la memoria e le lacrime, segno di un dramma nel dramma, riflesso dei nostri peggiori giorni. Il cinema, talvolta, ci insegna come uscire dai nostri cul de sac esistenziali. Un modo può essere anche soffermarsi a guardare la bellezza di un paesaggio coperto di neve. Ed è proprio questo il gesto che compie Mia, la giovane protagonista di “L’amore non basta mai”, sul finale, prima di intraprendere il proprio viaggio verso casa. Di queste esitazioni, di questi sentimenti, porta l’opera prima di Maria Blom (possiamo considerarla “prima”, perché la sua precedente “Fishy” è un film di prova realizzato con la complicità del produttore e mai distribuito) un piccolo, intenso film che la regista ha scritto e diretto, traendolo dalla sua opera teatrale “Dalecarlians”, usando i toni delicati ed algidi che ben conosce chi vive il perenne inverno svedese. La Blom possiede una mano leggera e al contempo riesce a scavare con malinconica profondità nella psiche dei personaggi della sua storia.

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La pellicola è stata premiata in patria da un grande successo di pubblico, al punto da poterla proporre per la prossima edizione degli Oscar come migliore opera straniera. Con un certo coraggio, la Teodora di Vieri Razzini distribuisce il film nel nostro mercato, segno di un’attenzione a cinematografie altre, a prodotti non comuni che provengono da culture distanti dal gusto del grande pubblico. La giovane protagonista si chiama Mia (è Sofia Helin, un’attrice da tenere d’occhio), fa la programmatrice di computer e vive a Stoccolma. La ragazza decide di tornare nel suo paesino d’origine, in Dalecarlia, in occasione del compleanno del padre che compie 70 anni. Ma si porta dentro un segreto doloroso e presto scopriamo che anche i membri della sua famiglia hanno qualcosa da nascondere. L’occasione dei festeggiamenti è quella giusta per fare affiorare le più aspre contraddizioni e i più brucianti rancori all’interno del microcosmo familiare. Mia ha due sorelle più grandi: Eivor (Kajsa Ernst) fa parte della generazione di mezzo, la sua durezza caratteriale nasconde un rancore represso, il rimpianto di una vita sprecata ad occuparsi dei genitori, rimanendo chiusa al mondo, obbligata ad occuparsi dell’organizzazione quotidiana, compresa la festa del compleanno paterno. La maggiore è Gunilla (Ann Petrén) che, divorziata da poco, si consola col ricordo di un eccitante incontro erotico con un giovane trentenne, durante una vacanza a Bali.

Ad alimentare le braci familiari ci sono pure Ingvar (Lars G. Aronsson), uno zio dispotico che sta per essere lasciato dalla moglie, e un viveur trentasettenne che si mostra abile con fanciulle ma non con la sua vita, segnato com’è dal suicidio del padre. Altre figure di contorno si muovono durante la festa fatale, pronti alla resa dei conti che non si fa attendere. Possiamo solo dire che la Blom possiede la leggerezza del tocco, che sa dirigere con grazia ed attenzione i suoi attori e che dimostra un pudore speciale nel raccontare le lacrime versate di nascosto senza mai cadere nel facile sentimentalismo. La colonna sonora di Anders Nygards esibisce certe sonorità country che fanno venire in mente i paesaggi irlandesi o americani del Mito, fungendo da lieve contrappunto ai drammi dei protagonisti del film. Dicevamo all’inizio dei segni di matura consolazione che certi film riescono a trasmetterci. “L’amore non basta mai” è uno di questi. Coi suoi ammonimenti, con la sua descrizione dolorosa di comuni sgradevolezze private, la giovane regista ci indica che la via del rancore è spesso l’ultima ratio da percorrere. L’altra strada è quella di spendere liberamente la nostra endemica voglia di vivere, alla ricerca dell’incontro con i nostri simili, evitando di ferirli ed umiliarli. Gli altri, l’altro sono il nostro specchio, così ci ha insegnato il grande Bergman (uno dei montatori di questo film è Michal Leszczylowski che è stato già collaboratore, infatti, per Bergman e Tarkovskij). Ed è una consolazione constatare che cineasti come la Blom hanno imparato la lezione. Senza moralismi, senza ricorrere allo zuccheroso spleen di certo cinema contemporaneo, con moderna consapevolezza, perché la memoria non sia l’oggetto perduto di noi contemporanei.

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