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Intervista a Morgan

Un lavoro che segna una svolta nella carriera di Marco Castoldi, in arte Morgan, leader dei Bluvertigo, momentaneamente a riposo

  • 7 gennaio 2004

Per mesi si è chiuso dentro un appartamento. Con sé ha portato una famiglia e un pianoforte e ha fatto un disco, guarda caso dal titolo “Canzoni dell’appartamento”. Un lavoro che segna una svolta nella carriera di Marco Castoldi, in arte Morgan, leader dei Bluvertigo, momentaneamente a riposo. Ma se la musica del suo gruppo partiva dalle sonorità più spregiudicate degli anni Ottanta, “Canzoni dell’appartamento” rimanda direttamente alla canzone d’autore italiana delle origini. Un repertorio che il cantautore di Monza sta portando in giro con il suo ultimo tour appena passato dalla Sicilia. Abbiamo parlato con Morgan in occasione del concerto tenuto lunedì 5 gennaio al Bier Garten di Palermo.

Come si stanno comportando le canzoni fuori dall’appartamento?
«Le canzoni si comportano bene. E’ il mercato che si comporta male». (ride)

Perché? Ti aspettavi qualcosa di più dal punto di vista discografico?
«Sembra presuntuoso dire che mi aspettavo qualcosa di più. Soprattutto sembra di dar credito ai discografici che sono coloro i quali si aspettano sempre qualcosa in più. Il problema è che loro se l’aspettano gratis, senza far nulla perché questo avvenga. In realtà sono gli unici che possono farlo avvenire.  Non mi aspetto qualcosa in più perché so che in Italia non ci sono tante persone disposte a seguire percorsi musicali che non siano banali».

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Tutto sommato la critica ha accolto bene il tuo album e le radio hanno spinto molto i tuoi singoli.
«Sì, da questo punto di vista non mi posso lamentare. E’ stato forse capito più dai critici. Essendo un disco attempato e canuto è piaciuto ai nostri canuti critici che sono completamente fuori moda. Per caso, questa volta ho fatto un disco retrò e allora alla critica, essendo arretrata (ride) gli è sembrato naturale. Non hanno neanche vissuto il post-modernismo di questa cosa. L’hanno semplicemente giudicata ascoltabile».

Hai ricevuto il premio Tenco come migliore Opera Prima. Come ti vedi in questa veste di esordiente tu che hai già alle spalle un passato musicale?
«Io sono una nuova proposta della terza età. La vedo come un’ulteriore pazzia. Un’imprevedibile collocazione, che è questa dell’esordiente, in cui credo potrei essere anche condannato in eterno».

Ma ti senti ancora fuori dal tempo come cantavi anni fa?
«Be’ ora più che mai. Un tempo lo dicevo soltanto, ora lo sono: lo slogan che si concretizza».

Due anni fa hai fatto un tour solo pianoforte e voce. L’album è nato sulla scia di quella esperienza o lo avevi già in testa da prima?
«In quel periodo, fare concerti al pianoforte mi stimolava, mi aiutava. Tra l’altro alcuni brani nuovi li avevo proposti in qualche serata».

Tornando al passato. Anni fa consideravi l’amore come qualcosa di universale, ben lontano dal rapporto tra due persone. Dai testi dell’ultimo album sembrerebbe che hai cambiato idea.
«Purtroppo c’è stato questo cambiamento radicale. A un certo punto, come una grande alzata di vento, io mi sono buttato in questo vortice. Ho cambiato le mie abitudini, il mio tracciato, il mio percorso, il mio stile di vita, il mio pensiero sul mondo. E’ tutto cambiato perché mi sono innamorato. Ma rimango innamorato dell’amore più che di una donna in particolare. E questa è la peggiore delle condizioni del romantico, che si consuma in questo amore per l’ideale».

Dal punto di vista artistico però, ti darà molto “materiale” d’ispirazione.
«Sì, però è anche vero che per riuscire ad essere degli artisti, bisogna essere vivi, essere in carne e ossa. Esistere proprio nel vero senso del termine come individui biologici. La morte del corpo non aiuta l’artista e mi sto riferendo a questo sentimento che consuma le cellule».

E tu come ti senti? Per citare una tua canzone: (ndi “L’assenzio”) stai bene o stai male?
«Sto male».

In passato hai collaborato con altri artisti, prodotto dischi, scritto libri, diretto video. In futuro riprenderai queste tue esperienze parallele?
«Non so cosa riserva il futuro. Tutte le collaborazioni che mi sono capitate fino a adesso non sono state cercate, sono proprio nate sul momento. Più come amicizie che si sono trasformate in collaborazione. Niente imposizioni da case discografiche. Adesso mi sono un po’ isolato quindi devo cercare di tornare nella società».

Per quanto riguarda la tua musica? C’è da aspettarsi un ritorno dei Bluvertigo?
«Può darsi. Tutto dipende da questo consumo cellulare».

Come siete arrivati alla decisione di sospendere l’attività del gruppo?
«In modo pacifico e del tutto dialogante. Parlando dei nostri problemi abbiamo pensato che alla fine così fosse meglio per tutti. Anche per il pubblico». (ride)

Un album italiano e uno straniero: che ascolti in questo periodo?
«Un album straniero che ascolto con piacere è quello dei Super Furry Animals. Sul versante italiano ho ascoltato il disco di De Gregari-Marini e mi è sembrato molto elegante. Poi sto ascoltando molti italiani degli anni Cinquanta e Sessanta come Natalino Otto, quello che cantava “Se potessi avere mille lire al mese…”. Poi ancora i soliti Paoli e Tenco. E Bindi, che è un po’ meno conosciuto anche se è forse quello più seminale».

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