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Il silenzio degli offesi: il riscatto arriva sul grande schermo

  • 16 marzo 2006

ALL THE INVISIBLE CHILDREN (Take 7)
Italia, 2005
Di: Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan & Ridley Scott, Stefano Veneruso, John Woo
Con: Adama Blia, Uroš Milovanović, Rosie Perez, Vera Fernandes, David Thewlis, Daniele Vicorito, Zhao Zicun, Qi Ruyi

C’è un film speciale, “All the invisible children”, che è stato presentato fuori concorso alla mostra di Venezia dello scorso anno. E’ un film collettivo, otto registi per sette episodi (Ridley Scott dirige in coppia con la figlia Jordan), che racconta il drammatico travaglio dei cosiddetti bambini invisibili, storie di vuoti d’affetto familiari e di dolorose povertà materiali o morali. Tra i produttori c’è la nostra Maria Grazia Cucinotta che appare per una manciata di secondi nell’episodio italiano. A fare da sponsor è l’Unicef, riconoscibile simbolo di solidarietà, in perenne lotta contro l’indifferenza che travolge il mondo continuamente umiliato e offeso dell’infanzia. Detto questo, non sempre il risultato cinematografico risulta nobile quanto le sue intenzioni. Il film si lascia vedere e considerare soprattutto per il suo j'accuse illuminante. Qualche episodio risulta migliore degli altri.

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In “Tanza” di Mehdi Charef, l’orrore della guerra in Africa è filtrato attraverso lo sguardo privo di speranza di un bambino di dodici anni che si trova sul fronte, pronto con un fucile in mano a far saltare in aria una scuola. Il riscatto in armi non è però la soluzione migliore, poiché il sangue versato genera altro sangue. Emir Kusturica, con “Blue Gipsy”, ci racconta di Uroš, un bambino zingaro che preferisce restare in un carcere minorile pur di non continuare a subire le angherie di un padre che lo costringe a vivere di furti. Lo stile del regista bosniaco risulta in questa occasione ripetitivo e stanco. Con “Jesus Children of America”, Spike Lee ci trasporta invece nell’infernale girone della droga, attraverso la toccante figura di Blanca, una ragazza che vive a Brooklyn e che viene a conoscenza del suo essere sieropositiva sin dalla nascita per colpa dei genitori tossicodipendenti. Si tratta di un durissimo pugno allo stomaco contro l’incoscienza della famiglia e contro l’ignoranza della società dove Lee si rivela efficace narratore di contemporanee tragedie esistenziali. Ma è Katia Lund a firmare uno degli episodi migliori, “Bilu & João”, colorando con toni da favola la tenera vicenda di due bambini che lottano per la sopravvivenza nelle strade di San Paolo. Raccogliere lattine vuote e cartoni, lavorare con i rifiuti della società opulenta è per alcuni l’unica via di fuga dalla miseria ma anche una soluzione esistenziale, un modo per mettersi in sintonia con la realtà, cercando il rapporto con gli altri.

Jordan & Ridley Scott con il loro “Jonathan” ci parlano dei traumi subiti, nel corso delle sue missioni, da un fotoreporter e la sua possibilità di riscatto, nell’incontro con la Natura e con gli adolescenti (ma la metafora non è del tutto convincente).
Stefano Veneruso ambienta il suo “Ciro” in un quartiere degradato di Napoli, dove un piccolo delinquente ruba il rolex di un motociclista e poi fugge cercando una impossibile via di salvezza. L’episodio risulta eccessivamente enfatico sia nelle immagini che per l’utilizzo della musica. John Woo ci regala l’episodio più commovente, “Song Song & Little Cat”, la storia di due bambine. Song Song è quella ricca che soffre nel vedere litigare furiosamente i genitori, consolandosi poi davanti al proprio pianoforte bianco. Little Cat è una orfanella ritrovata neonata da un barbone. L’uomo la cresce e provvede per lei continuando a cercare tra i rifiuti la possibilità di dare un futuro alla sua piccola miracolata. E’ una bambola a legare il destino delle due bambine, lungo il trascorrere parallelo degli eventi, la bambola di Sing Song che finisce nelle mani di Little Cat. Woo ci parla di speranza evocando un mondo che sembra non averne e lo fa con il suo stile teso e tagliente, favorito da una toccante colonna sonora. Il suo risulta l’episodio più compiuto di questo film collettivo, elogio della possibile resistenza degli infelici, memore di certe prove del primo Kurosawa, come lui appresso al popolo degli invisibili.

“All the Invisible Children”, anche se diseguale e non all’altezza delle aspettative, nell’assemblare i diversi stili, risulta una operazione ammirevole. Con una toccante e trascinante ballata rock, “Teach me again” interpretata in coppia da Elisa e Tina Turner, che chiude il film come suggello ideale. Dare voce al silenzio degli innocenti, esibire il contrasto lancinante che genera il Male supremo, l’offesa intollerabile nei confronti delle creature più deboli, è sicuramente uno di quei messaggi necessari e sempre attuali. Specchiarsi negli occhi di un bambino offeso è forse uno di quei miracolosi afflati che ci permette di definirci ancora uomini, nonostante tutto.

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