CINEMA E TV
Il muro, una barriera di odio tra civiltà e barbarie
Il muro (Mur)
Francia/Israele 2004
Di Simone Bitton
Un muro variopinto scorre davanti allo spettatore, ornato di graffiti che evocano Matisse e Haring: “Il muro” di Simone Bitton comincia così, con immagini quasi briose e rassicuranti. Ma non tarda a imporre il maestoso grigiore della barriera che separa Israele e Cisgiordania. La macchina da presa si sposta poi in un cantiere, dove alcuni arabi – paradossalmente - innalzano il muro che li imprigionerà, mentre il paesaggio si copre gradualmente di lastroni di cemento. La Bitton, israeliana di origine marocchina, raccoglie testimonianze su come viene vissuto quotidianamente il muro da entrambe le popolazioni e intervista anche il Generale Amos Yaron, personaggio vicino ad Ariel Sharon e ideatore dell’obsoleta misura. Le opinioni si inseriscono in uno spettro che va dalla rassegnazione allo sdegno: ma al di là della classificazione delle barriere che declinano quel blocco di cemento in eufemismi burocratici come “barriera difensiva” o “linea-ostacolo”, tutti (tranne il generale, ovviamente) si rendono conto che si tratta di un monumento brutto, costoso e inutile. Soprattutto perché il muro si può scavalcare, non solo con le armi ma con le proprie gambe, per riconquistare quelle libertà elementari che cemento e filo spinato negano prepotentemente. Queste recinzioni, tuttavia, sono soltanto il correlativo oggettivo di barriere più antiche ed evanescenti: lingua, religione, banali abitudini.
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