ARTE E ARCHITETTURA
Il mausoleo dei Florio a Palermo è a rischio: l'appello degli intellettuali per salvarlo
L'ingresso ricorda l'accesso di Alice quando scopre il Paese delle meraviglie: ma la tomba dei Florio al cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo è al collasso
Il Leone simbolo dei Florio davanti alla tomba della famiglia a Palermo
C'è poco da dire: quel nome, simbolo di lusso e impegno, rinascita e floriditá, gusto e stile, metafora stessa dell'era floreale isolana, resta profondamente inciso nel nostro dna.
Malgrado tutta quella bellezza progettata e voluta, malgrado l'impegno, l'onorabilitá del nome, malgrado questa incredibile capacità propulsiva introdotta dalla famiglia-dinastia, nello slancio della costruzione di nuna Capitale culturale ed economica europea novecentesca, la storia dei Florio non finisce come avrebbe dovuto.
L'Impero commerciale e sociale si sgretola sotto gli attacchi del cinismo avvilente della storia e degli uomini e con esso, Palermo perde la bellezza misurata dal disegno dei grandi maestri, comincia la decadenza ineluttabile, poi il sacco edilizio, inizia l'Alzheimer culturale, l'etichetta kitsch appiccicata al liberty, il conseguente olocausto delle ville tra le vie Libertà e Notarbartolo, l'oggi e la volgarità dell'oggi affidata a spot privi di sostanza.
È il caso del raffinato mausoleo funerario che Giuseppe Damiani Almeyda progetta e realizza per Vincenzo Florio al cimitero monumentale di Santa Maria di Gesù, a Palermo, tra il 1868 e il 1870.
Nella città dei morti in cima alla conca d'oro, Almeyda progetta l'impianto generale del nucleo monumentale, il monumento funebre a Mariano Stabile (1864) , l'edicola sepolcrale della famiglia Starrabba (1864), quello a Ernesto Perez (1869), la cappella del Barone Valenti (1887), il cippo funerario dedicato ad Enrichetta Portalupi (1888), il monumento sepolcrale Morello (1889) o ancora la tomba del poeta Pardi.
Opere queste, tutte di una raffinata cura del dettaglio calibrate sulla misura spirituale che affida all'opera d'arte, il ricordo del caro estinto.
Pagine dense di storia dell'arte appunto. Ma il mausoleo Florio possiede un'anima tutta sua: aleggia in disparte, quasi palesata dal fruscio del cipresso agolare.
Possiede il respiro dei templi europei, gestisce l'impianto assolutamente simmetrico e al centro del campo santo, puntando sulla verticalità dell'impianto che nel bugnato, nell'uso delle istituzioni ornamentali e nell'idea totalizzante di decoro, sintetizza il linguaggio usato da Almeyda per il coevo Politeama Garibaldi sublimandolo.
Tomba superiore e cripta inferiore aggrottata il cui ingresso ricorda l'accesso di Alice nel paese delle meraviglie.
Opera d'arte in cui l'immancabile Leone, simbolo associato alla dinastia Florio (opera raffinatissima di Benedetto De Lisi j.) si piega, lui re tra i re, nel ricordo silente dei fantasmi nobili di nobili uomini e donne incantate, i Florio appunto che seppero guardare la città come metafora di una rinascita divisa con tutti, indipendentemente dal ceto sociale.
Produttori di bellezza loro, eppure dalla visita effettuata sabato proprio sul monumento, non posso non lanciare l'allarme del rischio evidente di un crollo di parte del terrapieno del mauseleo, palesato dalle lesioni strutturali che interessano l'angolo destro e gran parte della quota di calpestio della spianata che anticipa l'accesso alla tomba.
Un cedimento anche parziale, potrebbe incidere sulla struttura superiore se non si interviene subitome con metodo scientifico.
Il cedimento ancora in atto ha già lesionato la scultura del leone-Florio annerito dalle croste nere incidente sulla direttrice che interessa il cedimento stesso e non lascia presagire nulla di buono se non si interverrà immediatamente con un progetto di restauro serio e calibrato.
Lancio l'appello allora, al Comune di Palermo proprietario del campo Santo, alla soprintendenza che è attore primario di tutela della bellezza, agli intellettuali, bisogna intervenire o saremo complici di questo Alzheimer culturale che né l'architetto, né i committenti meritano di veder proseguire con tale leggerezza.
«Chi tace è complice», scriverà Danilo Dolci. Io non me la sento di stare in silenzio, e voi?
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