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Gli affabulatori scatti di Alessandro Leone

  • 23 ottobre 2006

Se la capacità di un perfetto e sapiente affabulatore consiste nel presentare, narrare, raccontare, fingere una realtà che risulti persuasiva per il fruitore, attraverso l’obbiettivo della sua macchina fotografica Alessandro Leone riesce a creare spazi altri, incastri di particolari che esercitano una suggestiva fascinazione sull’occhio del riguardante e che lo spingono a desiderare di trovarsi lì, all’interno di quel rettangolo lucido, dove solo brandelli di una realtà veramente esistita permangono.

I sessanta scatti esposti nella mostra "Orme-fotografie 1981-2006", presso il Loft Comunicazione ed Arti Visive (Via Samuzzo, 23), fino al 18 novembre (tutti i giorni dalle 16.30 alle 19.30) si dividono in immagini in bianco e nero e a colori che testimoniano 25 anni di attività di questo fotografo pubblicitario che ha saputo utilizzare i linguaggi tipici della carta patinata coniugandoli con una ricerca dai forti accenti pittorici.

Lo dimostrano i silenziosi spazi della serie “Ducrot al cubo” dove i fatiscenti cantieri Ducrot, fotografati da Leone nel 1995, diventano tramite l’inserimento di proprie foto pubblicitarie, il quadro nel quadro appunto, dei veri e propri set cinematografici dove però il riferimento evidente è all’ambito pittorico, alla possibilità di trasformare uno spazio realmente esistito in qualcosa d’altro. Le foto dei cantieri mostrano da una parte, l’evidente constatazione dello stato di profondo degrado in cui si trovavano gli spazi Ducrot, ma dall’altra esibiscono la capacità di Leone di moltiplicare e arricchire di significati plurimi le fredde immagini pubblicitarie attraverso la costruzione di trame narrative estremamente convincenti nonostante il loro evidente carattere di artificiosità.

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Nella presentazione del catalogo della mostra Salvo Ferlito definisce esattamente come “fabulistico il carattere che contraddistingue l’intera produzione non pubblicitaria di Leone, nella quale gli aspetti squisitamente formali non prescindono giammai da intenti di analisi e sviluppo tematico, operati in forma di racconto più o meno breve, romanzato e visionario. Ne consegue che ciascun minimo spunto ispiratore riesca a divenire il valido «pretesto» per un’adeguata «costruzione immaginifica», consentendo, in virtù d’una sapiente regia ed orchestrazione di integrare e rafforzare i meri dati apparenti ed esteriori, fino a pervenire allo stadio di irretente e compiuta narrazione».

Una narrazione dunque, quella costruita da Leone, che ha come protagonisti frammenti di realtà, che ingranditi fino all’inverosimile perdono il loro concreto aspetto per trasformarsi in qualcos’altro. Così un trittico di immagini, con particolari ingranditi di un volto e una persiana semiaperta con in primo piano la maniglia di una valigia, sospingono l’osservatore a soffermarsi per chiedersi quale sia il racconto, quale la storia che l’affabulatore vuole raccontarci.

La capacità del fare e raccontare per particolari estraniati e avulsi dal loro contesto abituale è ancora più evidente e spiazzante nelle foto a colori della serie “Macule 1982-1984” dove le saturate e violente cromie dei muri trasformano la superficie fotografica in superficie pittorica, e le libere associazioni gestiscono un gioco di rimandi alla pittura informale e al colore fauve.
Portoni, persiane, scrostature di muri mostrano l’hinterland palermitano sottolineandone con brevi e fugaci accenni il carattere folkloristico e culturale, anche se il vero protagonista di queste composizioni è il colore che con forza riempie la vista e assorbe in sè qualsiasi dato naturale e architettonico.

Leone compone nelle sue fotografie spazi dove la presenza umana più che essere realmente presente, ha lasciato le orme del suo passaggio, evidenziandone l’assenza. E lo testimoniano le grandi immagini che accolgono il visitatore nei suggestivi spazi del Loft (un vecchio capannone industriale ristrutturato) dove le tracce di pneumatici su una spiaggia deserta, appena dopo un temporale, e un piccolo ombrellino di carta raccontano un’altra delle tante storie che vorremo stare ad ascoltare.

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