Franklin Delano, scorribande in bilico tra canzone e rarefazioni
Un suono fatto di chitarre frastagliate, di ritmi che divengono da letargici a taglienti e di riverberi densi di oscurità, su cui aleggia un’elettricità statica che sembra preludere allo scatenarsi di una tempesta. Si passa dall’avvio intenso e ombroso di "Call it a day", alle melodie squisitamente pop di "Please Remember Me" (tra i Pavement e i Wilco) e "We Don’t Care", alle sospensioni di "Sounds Like Rain" che simulano un senso di paralisi che sembra imprigionare ogni cosa attraverso il riflesso di un vetro o una rabbia soffocata che pare sempre sul punto di esplodere. Dallo scorrere torbido di "Matter Of Time" alle lame lancinanti e ai rarefatti silenzi di "Your Perfect Skin Line": è proprio quando il gruppo bolognese non esita a lasciar scivolare la propria musica tra le braccia di un’inquieta forma-canzone che rivelano tutto il fascino della loro alchimia, svincolandosi dai fantasmi "post" e creando uno spazio rumoroso e minimale tra il silenzio e l’esplosione. Lo stesso Iocca in "Me and my dreams" sussurra: "There’s still much to drive/ There’s still a billion miles to bite (...)/ There’s still a whole long night aside". Ma il percorso di questa strada è roseo e ben visibile.
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