CINEMA E TV
Franco e Ciccio: e dov’è il pasticcio?
L’omaggio che i due cineasti palermitani rendono ai due comici, è un film bello, dove la parola vola leggera e, nonostante l’ironia diventi risata, la dura realtà della Sicilia degli ultimi arriva ugualmente
Come inguaiammo il cinema italiano
La vera storia di Franco e Ciccio
Italia 2004
Di Daniele Ciprì e Franco Maresco
Con Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Lando Buzzanca, Pino Caruso
La nostalgia è un sentimento di grande tristezza, è vero, però ha in sé l’enorme potere di riportare in vita emozioni lontane. Il bel film, pienamente riuscito, della solida coppia Ciprì e Maresco, “Come inguaiammo il cinema italiano - La vera storia di Franco e Ciccio”, documentario presentato fuori concorso alla 61° mostra cinematografica a Venezia, ci consente questo tuffo nel passato in un tempo in cui l’Italia era ancora ingenua, la televisione meno malefica e tutto più semplice e più umano.Queste due eccezionali maschere giustamente qui rivalutate, Ciccio Ingrassia grande attore completo (nel film sono tanti gli spezzoni che ricordano le sue interpretazioni “altre” e ne confermano la bravura) e Franco Franchi, reale fenomeno della natura dalle capacità espressive facciali, e non solo, oltre ogni limite, erano teatro e vita o meglio ancora vita che è teatro.
E arrivano per intero il loro amore per il teatro, la passione che prescinde dal ceto sociale (umili le origini per entrambi) e diventa scelta di vita, quella passione che accomuna tutti gli artisti del mondo, con o senza un pubblico che li applauda (e ben sappiamo che il loro primo pubblico fu in strada), e quindi la loro arte, l’eccezionale fisicità di Franco, volto e corpo i suoi incredibilmente plastici, la mitica pazienza di Ciccio nel viso naturalmente dolente, una magica combinazione, la loro, di candore e risa, suggellata da un affetto profondo (pur se fra ripetute e storiche separazioni), che ben traspare dal film. L’omaggio che i due cineasti palermitani rendono ai due comici, palermitani anche questi, è un film bello, dove la parola vola leggera e, nonostante l’ironia diventi risata, la dura realtà della Sicilia degli ultimi arriva ugualmente senza l’astrusità dell‘aspro dialetto o l’eccessiva (e talvolta gratuita) crudezza presente in qualche altro film dei due registi, “ragazzi terribili”. La miseria dei vicoli nei quali i due comici nacquero, la povertà delle loro famiglie di origine (diciotto i fratelli di Franco Franchi) raccontata con semplicità dagli stessi interessati (la confidenza con una “fame” vera che pochi forse oggi conoscono) qui hanno una valenza particolare, sono l’humus dal quale i due traggono nutrimento per la loro arte.
Un divertente Gregorio Napoli, il critico cinematografico ormai di casa nelle pellicole di Ciprì e Maresco (era anche in “Cagliostro”, il precedente film dei due registi), un impacciato e irresistibile Francesco Puma, giovane critico alle prime “infelici” armi, oltre alle interviste serie a registi che lavorarono con i due comici (dalle pellicole più riuscite a quelle più scadenti, incluso un Bertolucci che teme il confronto fra il suo “Ultimo tango” e il quasi mitico “Ultimo tango a Zagarolo”) , ai parenti dei due artisti (assai divertenti le piccole schermaglie fra le due sorelle di Franchi), insieme con i deliziosi siparietti, autentiche pillole di quel vezzoso cinismo, peculiarità stilistica dei due registi, incastonati fra uno spezzone di film e uno di trasmissioni televisive, rendono la pregevole opera misurata e sobria, divertente e poetica.
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