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E il procuratore Pietro Grasso incontra gli studenti

  • 27 marzo 2006

Al contrario del titolo del film, Provenzano non è un fantasma. Il suo arresto non fermerebbe un fenomeno centenario come quello mafioso, ma di sicuro destabilizzerebbe la struttura, generando crisi e rallentamenti. Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, parla dalla stessa poltrona che l’ha visto protagonista come giudice a latere del maxiprocesso a Cosa Nostra nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. Nella conferenza stampa seguita alla proiezione de “Il fantasma di Corleone”, il procuratore, con Marco Amenta, regista del film, e il professore Lo Verso, risponde alle domande di ragazzi di varie scuole medie palermitane. Si parla di Bernando Provenzano e della struttura sociale di Cosa Nostra, dei progressi delle indagini e dell’evidente malessere sociale derivante dal permanere del potere mafioso sul territorio.

Bernando Provenzano è l’uomo di riferimento del vertice decisionale dell’organizzazione. Lo si è cominciato a cercare seriamente dopo gli arresti di Riina, Bagarella e Brusca, gli autori della strategia stragista di Cosa Nostra. E la sua ricerca ha portato alla cattura di latitanti come Spera, Virga, Giuffré, Sciarabba. Questo ha rallentato l’operatività della struttura. «Nel mondo della globalizzazione, dove i messaggi si scambiano in trenta secondi, loro ci stanno venti giorni», dice il procuratore Grasso facendo riferimento al mezzo di comunicazione di Provenzano, i "pizzini". La mafia continua a fare i suoi affari e sono anche tante le connivenze fra uomini d’onore e uomini politici e della professioni. Ma attraverso i vari intestatari e prestanome si è arrivati a sequestrare, nella sola Palermo, beni per 12 mila miliardi di lire. Così tanta gente paga la fedeltà e il favoreggiamento della sua latitanza. L’organizzazione ha da tempo scelto la strategia del silenzio per poter continuare il proprio corso mantenendo un profilo più basso. Conseguente il calo d’attenzione da parte della stampa, che si muove solo per cose eclatanti, mentre solo quella locale dà copertura mediatica al tema.

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Anche in questa campagna elettorale fugge dalle agende politiche di ambo gli schieramenti. Nessun forte segnale, nessuna promozione di una seria programmazione contro la mafia e il crimine organizzato. Ma il malessere striscia fra i giovani ed è incarnato nella riflessione di Grasso: «Ogni anno riguardo la catena umana di giovani che allora hanno unito la città, dall’albero di Falcone al Tribunale di Palermo. Ancora oggi quando li incontro non hanno risolto i loro problemi legati al futuro, al massimo fanno qualche lavoro precario. Noi spieghiamo la legalità nelle scuole, ma poi non c’è cultura della legalità nel lavoro». Quella reazione emotiva all’indomani delle stragi degli anni novante forse è stata metabolizzata, è maturata ed è pronta a farsi valere. La ritrovata attenzione destata da alcuni film documentario come "La mafia è bianca", "In un altro paese" e "Il fantasma di Corleone", così come la nascita di movimenti dal basso che invitano la città a liberarsi della morsa del pizzo, forse è solo un alito di vento ma dentro l’aula bunker si fa sentire.

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