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Docenti migranti: le storie e i disagi della Buona Scuola
Continuano le proteste contro la legge 107: dietro i volti dei manifestanti storie di trasferimenti, di disagi e di battaglie che non sembrano destinate a smorzarsi
Storie di cambiamenti, di vere e proprie migrazioni: la protesta degli insegnanti contro il governo sulla legge 107 denominata "La Buona Scuola", nome che a parere di tanti professori suona come una beffa, sta trasformando le abitudini di tanti docenti che non vogliono abbassare la testa.
Simbolo della situzione in cui tantissimi insegnanti siciliani si ritrovano attualmente è la storia di Barbara Giordano, professoressa palermitana innamorata della sua terra che ha dovuto accettare una cattedra a Treviso per non rimanere disoccupata.
Dopo l'approvazione dello scorso 9 luglio - con 277 "sì" alla Camera dei Deputati e qualche centinaio di migliaia di "no" per le strade di diversi comuni italiani - si è scatenata una battaglia ad armi impari, che solo grazie alla tenacia di molti docenti combattivi non prevede un esito scontato.
Come molti suoi colleghi la professoressa Giordano è stata giorni ad aspettare la fatidica chiamata dopo aver messo il suo curriculum online. A settembre, con soli dodici giorni di preavviso, ha ricevuto l'ordine del trasferimento ed ha affrontato lo sconforto del viaggio.
«All'inizio della mia carriera ho fatto una scelta: quella di rimanere in Sicilia facendo anche precariato per anni - racconta - avevo una vita organizzata qui con il mio compagno ma adesso sono stata costretta a cambiare casa e vedere tutti i miei guadagni persi nelle spese per il cambiamento di sede».
Proprio la questione economica assume una grande rilevanza se si pensa ai costi delle prenotazioni di areo, casa e mezzi senza un ragionevole preavviso, demolendo così le accuse di alcune esponenti del governo che hanno definito "capricciosi" gli insegnanti che hanno presentato ricorso contro il traferimento forzato.
«Tutto quello che ho guadagnato durante l'anno di prova a Treviso se n'è andato - dice sconfortata - l'unica risposta che ci ha dato il governo è stato una sorta di ti sto dando il lavoro, non ti lamentare».
La professoressa racconta di una riforma che impoverisce il sud culturalmente e di un governo che pur di fare tiene di più ai numeri che alle persone. «Il sud si trova in un'emergenza ecomica, sociale e culturale che solo la scuola e l'istruzione possono combattere. La Sicilia avrebbe bisogno di persone con una storia sul territorio, formate professionalmente ma questa riforma garantisce soltanto dolore e lacrime».
In una Sicilia sempre più afflitta dalla fuga di cervelli, che vede giovani e meno giovani costretti a chiudere anche il proprio cuore dentro la valigia che li accompagnerà nel viaggio verso un futuro con più certezze e meno ostacoli, c'è ancora chi non desidererebbe altro che restare nella sua terra per costruire un futuro diverso, per formare e insegnare.
E non può essere una legge imposta dall'alto a spegnere questa attitudine.
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