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"Current 93": eroi per caso

  • 13 luglio 2006

UNITED 93
Gran Bretagna, U.S.A, 2006
Di: Paul Greengrass
Con: Lewis Alsamari, Cheyenne Jackson, Trish Gates, Khalid Abdalla, Opal Alladin, David Alan Basche, Richard Bekins, Starla Benford

L’11 settembre è la data fatidica dell’Occidente ferito, simbolo di un conflitto possibile e di una perdita d’illusione, forse definitiva. Quello che è accaduto è un ricordo continuamente acceso dalla visione, replicata all’infinito, delle immagini della tragedia: ci sembra aver visto tutto e quindi di sapere molto del folle disegno criminoso che ha provocato il crollo delle Torri e l’assalto al Pentagono, ma in realtà sappiamo assai poco e ancora meno abbiamo visto. Per questo, in attesa dell’epico racconto sulla catastrofe delle Twin Towers ad opera di Oliver Stone, “World Trade Center”, non ci appare superfluo la rievocazione dell’incubo vissuto quel giorno in “United 93”, film presentato fuori concorso a Cannes, prodotto e distribuito dalla Universal.

Il regista inglese Paul Greengrass ha una lunga militanza come documentarista e con “Bloody Sunday” si era fatto testimone della maledetta domenica di sangue del 30 gennaio del 1972 a Derry nell’Irlanda del Nord. Con “United 93”, egli ha deciso di narrare la vicenda del quarto aereo dirottato dai terroristi di Bin Laden verso Washington con l’intento di andare a distruggere il Campidoglio o la Casa Bianca. Un minuzioso resoconto girato rispettando le unità aristoteliche, con stile asciutto e rigoroso e con un taglio documentaristico che ne esalta la drammaticità. Del resto, che bisogno c’è d’inventare quando la realtà sorpassa di gran lunga ogni finzione?

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L’esterno che Greengrass ci concede all’inizio sono i muri su cui è scritto: “Dio protegga l’America”. Ma quel giorno Dio sembrava lontano alle vittime di una ecatombe provocata da una furia ideologica senza giustificazioni possibili. Nell’incipit del film, l’azione fatale è annunciata dalle preghiere di un giovane arabo che tiene tra le mani il Corano in un’anonima stanza d’albergo, mentre fra i suoi complici c’è chi prepara un taglierino ben affilato e l’esplosivo al plastico. Ci viene comunicato così che uno dei più terrificanti attentati della Storia è stato operato con mezzi rudimentali e in economia.

Quello che racconta Greengrass, autore anche della sceneggiatura, è una giornata che avrebbe dovuto essere uguale a tante altre. I suoi attori sono tutti non professionisti, sia i carnefici che le vittime, compresi i veri piloti e le vere hostess, mentre nei centri di controllo aeroportuale agiscono, come in un psicodramma, alcuni dei testimoni di quel maledetto giorno, incluso il comandante della FAA di Herndon, Ben Sliney che prese servizio proprio l’11 settembre 2001.

La cronistoria si dipana assumendo le forme di una trama da film catastrofico, anche se il regista si guarda bene dal concedere qualcosa al nostro contaminato desiderio di spettacolo. In realtà, “United 93” somiglia ad uno di quei film-verità in voga negli anni settanta: lo stesso rigore, il medesimo scrupolo nell’indagare le pieghe dell’evento, con un piglio analitico che rispetta pudicamente il dolore di chi quell’esperienza l’ha vissuta sulla propria pelle e ha subito lutti irreparabili. Quel giorno, dall’aeroporto di Newark e di Boston si levarono in volo i veicoli che andarono a schiantarsi sui bersagli programmati mentre l’aereo 93 decollò con 42 minuti di ritardo, uno scarto di tempo utili perchè i suoi passeggeri si rendessero conto della rotta letale.

Come in un film scritto da Zavattini, il regista Greengrass recupera frammenti di quotidianità durante il volo della morte: un dialogo tra due piloti di cui uno annuncia il festeggiamento del suo anniversario di nozze, i presagi di una hostess e le piccole nevrosi di chi non sapeva di avere incrociato il proprio destino con la Storia. Dopo l’impatto con le Twin Towers, ecco l’irrompere dell’intollerabile tensione, il delirio rabbioso dei terroristi, le prime reazioni delle vittime, seguito all’omicidio dei piloti. La ricostruzione drammaturgica degli avvenimenti è basata su un’accurata verifica dei fatti, attraverso la consultazione di documenti ufficiali, telefonate intercettate e testimonianze dei parenti dei passeggeri, che peraltro hanno attivamente collaborato al concepimento di questa sorta di rituale celebrativo “alla memoria”.

Come in una antica tragedia greca, rimaniamo emotivamente coinvolti dalle accorate telefonate di coloro i quali sanno (sapevano) di dover andare a morire: ultime parole d’amore, invocazioni trattenute, volontà testamentarie sussurrate, il tutto attraverso i telefonini rimasti accesi e, dopo l’ultima straziata preghiera collettiva, la decisione di alcuni passeggeri di compiere un gesto di ribellione, scagliandosi contro i kamikaze in un disperato tentativo di deviare la rotta. Fu così che il volo 93 finì per schiantarsi in una zona campestre della Pennsylvania, nei pressi di Shanksville, impedendo un’ulteriore strage.

Senza alcun eccesso retorico, il film celebra il sacrificio di quei piccoli grandi eroi comuni di cui non ricorderemo mai tutti i nomi, ma che seppero trasformarsi nell’identità memorabile di una comunità di coraggiosi che, in quella occasione di pericolo, recuperararono uno dei tanti aspetti nobili di quello che chiamiamo dimensione umana. La catarsi annunciata produce i suoi effetti: dalla visione di “United 93” si esce in composto, religioso silenzio, come segnati da una esperienza particolare. Parte degli incassi della pellicola, la Universal li devolverà all’associazione preposta ad attivare il memorial day dell’11 settembre. Resta così, assieme al resto, la memoria di un film esemplare che speriamo possa venire nominato agli Oscar del prossimo anno.

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