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"Brokeback Mountain", il mito degli uomini veri

  • 23 gennaio 2006

I segreti di Brokeback Mountain (Brokeback Mountain)
U.S.A., 2005
di Ang Lee
con Heath Ledger, Jake Gyllenhaal, Michelle Williams, Anne Hathaway, Randy Quaid, Linda Cardellini, Anna Faris, Kate Mara

Non è la prima volta che il regista Ang Lee, originario di Taiwan ma notevolmente nutrito di cultura occidentale, affronta il tema dell’omosessualità. E’ venuta prima la sua deliziosa commedia degli equivoci “Il banchetto di nozze”, successo di stima al botteghino. Ora è la volta del film vincitore del Leone d’Oro a Venezia 2005, “I segreti di Brokeback Mountain”. Storia di una passione travolgente e (ormai quasi più) proibita, quella che il tempo non scalfisce, che coinvolge due giovani e rudi cowboy. Un melodramma d’ambientazione western, capace di intenerire anche gli spettatori più insensibili, anche perché Ang Lee è un regista in grado di esibire la grazia dello stile, e sa raccontare con pudore e passione l’evoluzione delicata della vicenda già narrata con grazia dalla scrittrice E. Annie Proulx in un breve racconto di una cinquantina di pagine, “Gente del Wyoming”, apparso per la prima volta nel 1997 sul New Yorker e ripubblicato per l’occasione. La storia prende le mosse nel 1963 e si dipana lungo l’arco di vent’anni. Inizialmente ci troviamo a Signal, nel Wyoming, in piena estate, quando Ennis Del Mar (Heath Ledger) e Jack Twist (Jake Gyllenhaal) sono due ragazzi di campagna alla ricerca di un lavoro. Joe Aguirre (Randy Quaid) è il proprietario di un ranch e li assume come guardiani del gregge in cima alla montagna di Brokeback. Ed è proprio in questo luogo originario, quasi mitico, che la passione coinvolge entrambi in un vorticoso rapporto d’amore. Alla fine dell’estate i due si separano arrivando poi a mettere su famiglia: Ennis sposa la sua fidanzata Alma (Michelle Williams) che gli darà due figlie; Jack si reca nel Texas dove, in un rodeo, conosce e sposa la reginetta del posto, Lureen Newsome (Anne Hathaway), iniziando in seguito a lavorare presso il padre (i due avranno presto un figlio).

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Passano quattro anni ed Ennis riceve una cartolina di Jack che annuncia il proprio arrivo. Nel rincontrarsi, com’è ovvio, la coppia di ex-cowboy scopre che l’antica passione non si è sopita. Con virile fragilità e con nostalgia i due guardano al loro amore come qualcosa di unico e speciale mentre intorno a loro l’America cambia, con la promessa di nuove frontiere. Jack è un tipo espansivo che si sottrae alla severità paterna, mentre Ennis non riesce a liberarsi della sua naturale misantropia: due caratteri opposti che riescono miracolosamente a convivere, generando una forma d’amore assai resistente, talmente intensa da diventare impossibile, soprattutto nell’impervio confronto con la realtà familiare. Ad accorgersi per prima del legame tra i due uomini è la moglie di Ennis: il suo è un trauma esplosivo, l’inizio di una piccola catastrofe esistenziale. Rievocando certe atmosfere del memorabile eastwoodiano “I ponti di Madison County”, Ang Lee scrive un nuovo, importante capitolo della storia dei melodrammi contemporanei, attraverso una regia solida che non concede nulla al facile sentimentalismo, assai misurata nel descrivere i caratteri dei personaggi, capace di raccontare senza enfasi un amore scabroso solo perché assolutamente sincero. Emulo del grande Mishima, Lee ha saputo elaborare con intelligente sensibilità il proprio ascolto della tradizione letteraria occidentale, avendo già affrontato con efficacia la trasposizione del capolavoro inglese “Ragione e sentimento” e il racconto dell’America degli anni settanta in “Tempesta di ghiaccio”.

La ben congegnata sceneggiatura di questo film intenso e coinvolgente è firmata da Diana Ossana e da quel Larry McMurtry che è lo straordinario romanziere a cui si devono gli adattamenti cinematografici degli indimenticabili “L’ultimo spettacolo” (sceneggiato in prima persona) e “Voglia di tenerezza”, realizzato per lo schermo da James L. Brooks. La colonna sonora più country degli ultimi anni è affidata al compositore messicano Gustavo Santaolalla (in chiusura ascoltiamo la voce senza tempo di Willie Nelson con “He was a friend of mine”). Sono questi gli elementi che, insieme alla bella prova degli attori impegnati, fanno di “I segreti di Brokeback Mountain” qualcosa di più che un prodotto d’intrattenimento. Raramente si è vista di recente una comunione più interna ed espressiva tra paesaggio e personaggi, tra ambientazione e plot. Il tentativo di Ang Lee è di rintracciare gli echi del Mito, il significato primario di quei legami di cui narrano le trame dei poemi di Omero, qui però abilmente trasferiti nella zona dell’epos americano, nella terra del western. Del resto, perché lasciare certi temi alla mercè del trash pornografico? Ad onore del vero, però, già qualcuno aveva esplorato l’impervio tentativo della via gay al western: nientemeno che Andy Warhol nel suo quasi clandestino “Lonesome Cowboys”, un film più sporco e disarticolato di questo di Lee, ma altrettanto implacabilmente, virilmente sincero.

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