MUSICA
Afterhours vs Greg Dulli: parola di Manuel Agnelli
Ecco cosa ci racconta Manuel Agnelli qualche giorno prima del debutto catanese.
E’ un ritorno in grande quello degli Aftehours: la band di Manuel Agnelli, il “guru” della scena rock italiana, inaugura con un doppio concerto (il 6 e l’8 febbraio allo Zo-centro culture contemporanee, in piazzale Asia 6, a Catania) il mini-tour italiano dei Twilight Singers, band capeggiata dall'ex leader degli Afghan Whigs Greg Dulli, uno dei grandi nomi dell’indie-rock degli ultimi anni. Il biglietto per il concerto costa 11.50 euro in prevendita allo Zo con possibilità, per chi viene da fuori, di prenotarlo per telefono al numero 095.533871. Ecco cosa ci racconta Manuel Agnelli qualche giorno prima del debutto catanese.
Com’è nata l’amicizia con Greg Dulli e che tipo di persona è?
«L’amicizia è nata perché abbiamo fatto da testimoni di nozze a un nostro amico comune che si chiama Cesare Zappalà che è anche di Catania. Ci siamo incontrati a Las Vegas dove abbiamo passato quattro giorni di delirio pazzesco e poi ci siamo rivisti quattro o cinque volte nel corso di questi ultimi tre anni perché sono stato spesso negli Stati Uniti, non solo per vedere i concerti suoi ma anche per tastare il polso delle situazioni musicali. Che tipo è Greg? Greg è una persona molto intensa con un carattere molto libero, estremamente sincero e di un’intensità fuori dal comune. E questo nella sua musica si sente molto. Una cosa che mi ha colpito parecchio è il suo modo di stare sul palco: tra un pezzo è l’altro intrattiene la gente facendola ridere e raccontando loro cose molto divertenti ma nello stesso tempo possiede anche la capacità di cantare cose tristi pur mantenendo sempre il sorriso sulle labbra».
«Il tour non è stato affatto pianificato chissà quanti mesi in anticipo. In realtà tutto è nato a fine novembre. Credo che faremo dei pezzi insieme ma non posso darne la certezza perché i Twilight Singers arrivano da un tour di tre mesi con solo tre giorni di riposo, quindi sono “sfasciati”. E se provare a suonare qualcosa insieme vuol dire mettergli dell’altro lavoro in cantiere, allora preferisco non farlo. Però può anche darsi che qualcosa insieme esca fuori perché Greg voleva suonare dei pezzi con noi e quindi salterà fuori qualcosa del genere: sicuramente noi li richiameremo sul palco durante i nostri bis, in un modo o nell’altro, a suonare qualcosa».
Perché partire proprio da Catania con il tour? C’è qualcosa che ti lega in qualche modo a questa città?
«Catania è un posto dove ho tantissimi amici ed è la città di Cesare Zappalà. E poi Greg ci teneva molto a venire qui perché conosce Cesare da dieci anni. Credo che ci rimarremo qualche giorno a Catania. Per quanto riguarda il tour penso che sia stata la cosa più logica da fare per ottimizzare il giro. Fare due date nello stesso club con l’impianto già settato e il sound check fatto una volta sola è molto comodo; e poi è da tre anni che con gli Afterhours non suonavamo a Catania e quindi ci tenevamo tanto a fare un evento speciale. Ho avuto anche altre offerte per suonare in Sicilia come a Ragusa e Palermo ma per non stressare troppo la band di Greg abbiamo preferito due concerti a Catania».
Come procede l’attività degli Afterhours? Ci sono dei progetti che presto diventeranno realtà?
«Stiamo lavorando al disco nuovo con dei tempi che sono molto rilassati e infatti non credo che uscirà prima della fine dell’anno. Dopo il tuor italiano insieme ai Twilight Singers faremo, ai primi di marzo, un’apparizione al Tora Tora festival a Mantova, mentre la prossima estate prenderemo parte ad altre tappe del Tora Tora e dopo ci fermeremo per riprendere, in sala di registrazione, a lavorare al nuovo disco».
Il rock indipendente in Italia. Ci sono delle band che in questi ultimi mesi si sono particolarmente distinte?
«Ci sono senz’altro e cerco anche di invitarle al Tora Tora. Non importa se mi piacciano o no ma sono quelle che ritengo più significative: dai One Dimensional Man agli Yuppie Flu ai Giardini di Mirò, e poi tutto il cantautorato raffinato come Cesare Basile, Marco Parente e i Lotus di Amerigo Verardi. Sono tutte realtà che ammiro e che in qualche modo cerco di aiutare facendole suonare ai nostri concerti e cercando di portarle alla Mescal affinché i loro dischi escano. Ho visto tanta gente che ha del talento ma non mi piacciono quelle band di ragazzini che si rifanno un po’ troppo direttamente ai modelli che arrivano dall’estero».
Domandone di rito. Un consiglio pratico alle band emergenti siciliane che in qualche modo vogliono andare avanti.
«Vedo che in Sicilia c’è una scena notevole, di grande qualità. Capisco che alcune band siciliane ce l’hanno a morte con il resto del paese perché effettivamente si sentono tagliate fuori dal resto d’Italia, anche solo fisicamente, però d’altro canto bisogna pure tener presente che è difficile venire a suonare in Sicilia ed è difficile, anche, dalla Sicilia andare su. Un altro problema è che lì da voi i riferimenti musicali sono gli Stati Uniti e non il resto d’Italia. Dunque, per tale ragione, penso che le band dovrebbero proporsi prima di tutto a quel mercato e non lamentarsi di non avere risultati in Italia. Un consiglio pratico che posso dare, oltre a fare quello che veramente ci si sente di fare, è di analizzare in maniera più lucida la realtà. Finché un gruppo canta in inglese e ha solo riferimenti americani e il suo sogno è quello di andare a suonare in america… benissimo, non c’è niente di male. Però non si deve lamentare se poi non viene a suonare a Bologna o qualche altra città d’Italia oppure se certe etichette indipendenti non rispondono».
Tu che sei di Milano, come percepisci la realtà musicale siciliana e in particolar modo quella della Sicilia Occidentale?
«Non conosco tutti i progetti musicali che ci sono in Sicilia. Ne conosco solo pochi. Il talento c’è sempre stato in Sicilia e ultimamente mi sembra che si sia anche raffinato parecchio Sono sicuro che la scena siciliana, perché frequento la Sicilia più delle altre regioni, abbia fatto passi da gigante. C’è molto fermento ma a livello di mentalità ancora c’è uno strano tipo di autodeterminazione, giustamente per orgoglio si rifiutano le imposizioni che vengono da fuori però nello stesso tempo non si può rifiutare in toto tutte le influenze, gli input e le contaminazioni che potrebbero esserci affinché una scena cresca. Non credo che una scena siciliana possa crescere veramente da sola e completamente isolata dal resto del mondo. Purtroppo non ci sono abbastanza strutture e locali e quindi bisogna forzatamente venire a patti con quello che succede intorno e questa cosa qua non l’ho ancora vista succedere sinceramente. Da un punto di vista pratico credo che la Sicilia viaggi a due velocità: da una parte Catania dove c’è una tradizione leggermente più lunga del resto della Sicilia e dove quindi arrivano più cose e dall’altra Palermo dove ho riscontrato molto fermento e soprattutto, rispetto a Catania, un’eterogeneità di pubblico maggiore, meno chiuso in settori o in generi».
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