STORIA E TRADIZIONI
La Sicilia e i malinconici "voli di rondine": storie di patrimoni immensi e perduti
La nobiltà siciliana, i palazzi, le ricchezze. Un mondo che si è andata disperdendo a volte per incapacità altre per furberie che spesso i discendenti hanno potuto soltanto subire
Una scena del documentario di Gregorietti in cui gli impiegati comunali disquisiscono della "inutilità" del Gattopardo
Ma cosa s’intende con questa poetica espressione? I “voli di rondine" sono i feudi, i patrimoni perduti dalla nobiltà siciliana e mai più recuperati.
Di esempi ne abbiamo in tutte le città o comuni della Sicilia. Basta passeggiare per le vie del centro storico di Palermo per vedere meravigliosi e spesso fatiscenti palazzi, con maestosi ingressi, balconi sberciati, finestre che sembrano occhi spenti, tristi sopravvivenze di fasti lontani. Alcuni di questi scampati alla speculazione edilizia, attendono ancora finanziatori e finanziamenti, per tornare a vivere. Altre tornate a risplendere, hanno spesso cambiato la destinazione d’uso, sono alberghi, b&b extra lusso, luoghi per cerimonie o convention. Basta entrare in uno di questi, per capire che è impossibile chiamarle case.
Forse ancorati a dinamiche medievali, continuarono a sentirsi i Signori a cui era tributata imperitura obbedienza, da vassalli legati da un vincolo che andava oltre i beni materiali ma che comprendeva onore e rispetto. Accecati da questa errata considerazione, fermi e cristallizzati, assisterono quasi inermi o con spregiudicata ironia ai “voli di rondine”. Le varie riforme agrarie, culminata con quella del 1950, diedero il definitivo colpo di grazia: l’aver fissato i limiti della proprietà entro i 200 ettari, per placare le lotte contadine, contribuirono in maniera definita alla ridefinizione di questi patrimoni.
I detrattori della nobiltà, giudicarono negativamente il depauperamento delle sostanze, rappresentate da rendite e capitale: “Arrivarono a vedere le proprie dimore e le proprie ville… riducendosi a fare l’affittacamere senza onore e nobiltà, con gli appartamenti permutati con aree delle case, le ville e i parchi resi edificabili da una politica fatta da miserabili” Critica sicuramente feroce ma non così lontana dalla realtà.
La nobiltà siciliana fu estranea “all’idea del fare” mai parte di una comunità, come disse Tomasi di Lampedusa, lui che fu uno degli “eredi di voli di rondine”. Disinteressata a costruire e consolidare, fu più preoccupata all’apparire, vincolata a blasoni e stemmi e con uno stile di vita dedito al lusso, come racconta nel documentario con leggerezza e ironia, Il Barone Antonio Samonà, discendente di Viceré. “Sono stato scorporato dalla ricchezza di famiglia sin da bambino, … vittima come tanti altri di voli di rondine a volte repentini a volte clamorosi ”.
Aggiunge che la gestione “allegra” delle proprietà da parte della famiglia, ormai per lui non rappresenta più nulla, il vero lusso oggi è guardare al passato con una “Calma Olimpica”. Afferma che quando le ragioni non furono storiche o politiche, la perdita dei patrimoni fu dovuta proprio all’incapacità e al tenore di vita. Racconta dei grandi balli, dove erano offerti agli ospiti dei regali che non erano cotillons ma gioielli. Sorridendo dice, che per ogni ballo poteva esserci un volo di rondine, un feudo che spariva. Il Barone Samonà introduce un altro argomento che contribuì al tracollo patrimoniale: l’apporto spesso ambiguo e opportunista del “Soprastato”, l'Amministratore.
Spesso famelici avvoltoi, giocarono sulla mancanza di liquidità dei Signori, la cui ricchezza erano i feudi, così facendogli credere di ottenere denaro in prestito, erano in realtà loro stessi gli “usurai”. Diventati potenti e ricchissimi, a fronte dell’incapacità del nobile a onorare i debiti, diventarono i padroni, spesso facendosi inserire nei testamenti. Se molti nobili nel continente riuscirono a salvare i beni attraverso il matrimonio con ricche ereditiere americane, il nobile siciliano si sposò con le figlie degli amministratori che tra acquisizioni e trasferimenti, impedirono la partenza di diverse “rondini”. Grazie alle proprietà acquisite o ereditate e ai matrimoni, questi amministratori arrivati in città diventarono “i nuovi nobili”.
Sarebbe lungo l’elenco dei patrimoni perduti, nella sola città di Palermo, basta ricordare il nome dei palazzi per scoprire un “volo”, fra tutti il più emblematico e incredibile fu quello legato alla famiglia Florio. Ritornando al Gattopardo, ripenso alle parole di una nipote che descriveva il nonno, il Principe Giulio Fabrizio, come burbero per niente interessato al patrimonio, lasciato alla “cura” degli amministratori, appassionato di astronomia, biliardo, amava intrattenere la famiglia con giochi di prestigio.
A Palma di Montechairo, la casa di famiglia, negli anni 60, fu adibita a uffici comunali, dove impiegati distratti mostrarono il totale disinteresse, mal sopportando reporter, giornalisti e turisti, irridendo chi a naso in su si fermava a guardare l’ultima effige di un Gattopardo rampante, volato via con le rondini.
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