ATTUALITÀ
La periferia di Palermo vista con gli occhi di una ragazzina: la lettera di Maria Lucrezia
Maria Lucrezia descrive il quartiere di Brancaccio in una lettera dedicata a Palermo "Non ho conosciuto Padre Pino Puglisi ma cammino ogni giorno sui suoi stessi passi"
Una scena del film "Alla luce del sole" di Roberto Faenza
Ogni qual volta si parla di lui, io ho la stessa voce in capitolo di chi ha vissuto al suo fianco. Molti si chiedono come faccia, come sia possibile conoscere bene chi hai visto in foto o al massimo hai sentito parlare in qualche intervista o ancora descritto in qualche libro.
La mia risposta è sempre la stessa, sempre con la stessa forza. Conosco Padre Pino perché cammino ogni giorno sui suoi stessi passi e vivo la maggior parte del mio tempo nella stessa zona che gli ha dato le origini. Io e “Don” Pino svolgiamo la nostra vita a Brancaccio.
La grande differenza è che io vado comodamente a scuola in via San Ciro, all’Ernesto Basile, e lui lì ha fatto il "lavoro sporco".
È solo grazie a "3P" (come le tre "P" di Padre Pino Puglisi), che ha donato la sua vita per il sogno di cambiare un quartiere che era lo scarto della città di Palermo, che io sono lì. Come se Brancaccio fosse un’altra città, un mondo lontano.
Oggi penso che si stia dimenticando il sogno di "3P", e con velocità subendo un’involuzione che sta portando ad avere gli stessi pregiudizi di un tempo.
Sicuramente cambierei parecchie cose di Brancaccio, la rete di servizi, gli spazi per i ragazzi e la pulizia delle strade. Ma più di tutto cambierei il nome. "Brancaccio" ha quel senso dispregiativo che si ricerca nelle parole, come se si volesse dare il preavviso a qualcosa che forse era ma non è più.
Lo cambierei in "Mare Dolce": in ricordo di quel castello che fu motivo d’orgoglio di tutte le generazioni passate e completamente dimenticato dalla nostra. Vorrei che tutto cambiasse, vorrei che la mia scuola fosse meno piena di quei pesanti pregiudizi che mi piovono addosso quando dico «frequento l’Ernesto Basile».
Vorrei un giorno parlare a tutti della mia scuola e non sentirmi più dire «Ma non hai paura di andare a scuola lì?» o nei peggiori dei casi «Dov’è questa scuola, esiste?». Senza mai considerare tutti coloro che ogni giorno la rendono quello che è, una scuola piena di possibilità e potenzialità.
Senza mai pensare ai professori che da più o meno tempo si sono innamorati di questa scuola, di questa zona e l’hanno adottata come figlia da amare. Senza mai pensare al preside che con occhio vigile ci protegge e ci fa sentire a casa. Senza mai pensare ai collaboratori, a tutti coloro che lavorano negli uffici che con il sorriso sempre stampato sul viso ti accompagnano nella noiosa burocrazia.
Vorrei che la mia scuola iniziasse a risplendere di una nuova luce, la sua, quella fatta dall’instancabile lavoro di tutti noi. Vorrei che a Brancaccio ci fosse un nuovo parco giochi e delle strade pulite dove veder crescere i bambini che ogni giorno alle 14.15 alla fine delle lezioni sono dietro il cancello dei campetti del Centro Padre Nostro che aspettano con ansia quella possibilità che gli è stata regalata di essere uguali ai bambini di un altro quartiere.
Voglio, senza possibilità di condizione, dei cittadini che aprano i loro cuori ad altri cittadini che sentono forse troppo lontani da loro ma che si impegnano giorno per giorno con l’unico sogno di essere coinvolti in quella città, nella loro città, Palermo.
Riconosco il mio essere pretenziosa e la mia impossibilità nel muovere i grandi sistemi. Ma posso, come ho già fatto, continuare la mia vita, in questo quartiere che ormai sento mio.
Con l’unica arma che mi è stata donata dai miei insegnanti, come un dono eterno ed unico: la scrittura. E con questa stessa arma mi rivolgo a tutti coloro, palermitani e non, interessati o meno, che si stanno trovando così nel momento giusto nelle mie parole forse troppo istintive. Forse troppo azzardate. Ma parole del cuore, della testimonianza diretta dei fatti.
Maria Lucrezia Rallo
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