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La meraviglia di Pizzo Cannita: se a due passi da Palermo c'erano gli ippopotami (nani)

Un luogo di riparo naturale a 148 metri sopra il livello del mare, è divenuto nel tempo una delle più importanti testimonianze di questo fenomeno tipico dell'Isola

Marco Giammona
Docente, ricercatore e saggista
  • 25 agosto 2024

Nascosta tra le colline della Sicilia, a pochi chilometri da Palermo, la grotta di Pizzo Cannita, custodisce un segreto antico di migliaia di anni, un segreto che racconta la storia di un mondo perduto e di creature straordinarie che abitavano quest’isola durante il tardo Pleistocene.

Questo luogo, una volta semplice riparo naturale a 148 metri sopra il livello del mare, è divenuto nel tempo una delle più importanti testimonianze del fenomeno del nanismo insulare, un processo evolutivo che ha trasformato giganteschi animali continentali in versioni ridotte di sé stessi.

Tra le creature che meglio incarnano questo processo, l’Ippopotamo nano siciliano, scientificamente noto come Hippopotamus pentlandi, rappresenta uno dei capitoli più affascinanti e curiosi della preistoria mediterranea.

Le prime notizie sulla grotta di Pizzo Cannita risalgono al 1933, quando il Prof. Paolo Mingazzini, allora direttore del Museo Nazionale di Palermo, intraprese una campagna di ricognizione nella regione, alla ricerca di testimonianze fossili.
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Tuttavia, fu il professore Ramiro Fabiani, direttore dell’Istituto di Geologia dell’Università di Palermo, a dare il vero impulso alle esplorazioni della grotta. Le sue ricerche, condotte con rigore scientifico, rivelarono una stratificazione complessa e ricca di reperti che gettarono luce su un periodo di transizioni climatiche e faunistiche.

La grotta rivelò due principali orizzonti fossiliferi, ognuno con una storia da raccontare. Nell’orizzonte superiore, un mix di ossa di orsi, leoni, cinghiali e cervi dipingeva un quadro di biodiversità sorprendente.

Ma fu l’orizzonte inferiore, separato dal primo da uno spesso strato di terriccio, a contenere il tesoro più prezioso: resti fossili di ippopotami nani, che rappresentano la più chiara testimonianza del nanismo insulare.

Il fenomeno del nanismo insulare è un adattamento evolutivo straordinario che si verifica in ambienti insulari, dove risorse limitate e assenza di predatori spingono le specie di grandi dimensioni a ridursi nel corso di generazioni.

In Sicilia, questo fenomeno ha portato alla trasformazione di giganteschi ippopotami continentali che potevano raggiungere i 3-4 metri di lunghezza in creature dalle dimensioni ridotte dimensioni molto più piccole, con esemplari adulti che raramente superavano i 2 metri, perfettamente adattate alla vita sull’isola.

L’Hippopotamus pentlandi è il risultato di un’evoluzione che ha visto i grandi ippopotami africani, giunti in Sicilia circa 200.000 anni fa, durante le glaciazioni attraverso ponti di terra temporanei, adattarsi alle nuove condizioni ambientali. La grotta di Pizzo Cannita ha conservato una straordinaria quantità di ossa di questi ippopotami nani, permettendo agli scienziati di ricostruire in dettaglio il loro aspetto, comportamento e le cause della loro estinzione.

Il nanismo insulare non riguarda solo gli ippopotami: elefanti nani, cervi e altre specie subirono simili riduzioni di dimensioni nelle isole del Mediterraneo, ma l’Hippopotamus pentlandi rimane una delle testimonianze più emblematiche di questo fenomeno. Il materiale rinvenuto presso la grotta di Pizzo Cannita dal 1936 ha arricchito le collezioni di numerosi musei italiani e stranieri, diventando un punto di riferimento per la paleontologia insulare.

In particolare, sono stati recuperati 460 reperti, in ottimo stato di conservazione, che hanno permesso la ricostruzione di due scheletri: uno completo, esposto al Museo di Paleontologia dell'Università di Padova, e un altro quasi completo, visibile al Museo di Paleontologia dell'Università di Ferrara.

Questi scheletri rappresentano non solo un'importante testimonianza del passato della Sicilia, ma anche una chiave per comprendere le dinamiche evolutive che hanno caratterizzato la fauna dell'isola.

Fortunatamente, parte dei materiali scavati da Fabiani rimane ad oggi conservata presso il Museo Geologico “G. Gemmellaro” di Palermo, un luogo dove è possibile ammirare da vicino i resti di un mondo scomparso.

Questi fossili non sono solo testimonianze di un passato remoto, ma anche simboli della fragile bellezza della vita sulla Terra, soggetta a mutamenti profondi nel corso delle ere geologiche.

La collezione paleontologica di Pizzo Cannita è molto più di un insieme di fossili: è una finestra aperta su un mondo antico, un mondo in cui la Sicilia era abitata da creature straordinarie, modellate da un ambiente unico e mutevole.

Il nanismo insulare, testimoniato dagli ippopotami nani della grotta di Pizzo Cannita, ci racconta una storia di adattamento e sopravvivenza, una storia che ci ricorda quanto l’evoluzione sia capace di trasformare la vita in modi che sfidano l’immaginazione.

In ogni fossile, in ogni osso, si nasconde una storia, una lezione sulla forza della natura e sulla sua capacità di plasmare la vita in risposte a sfide e cambiamenti.

Visitare i musei che conservano questi reperti, o semplicemente riflettere su queste testimonianze, è come intraprendere un viaggio nel tempo, un viaggio che ci porta indietro di migliaia di anni, fino a un’epoca in cui la Sicilia era un mondo a sé, un laboratorio vivente di evoluzione e sopravvivenza.

Per tale motivo la grotta di Pizzo Cannita e le sue meraviglie fossili continuano a incantare e a ispirare, offrendo a scienziati e appassionati uno sguardo su uno dei capitoli più affascinanti della storia naturale.

Un luogo dove la preistoria incontra il presente, ricordandoci quanto sia preziosa e fragile la storia della vita sulla nostra isola e sul nostro pianeta. Nella foto: scheletro di Hippopotamus pentlandi rinvenuto presso la grotta di Pizzo Cannita.
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