CINEMA E TV
La lotta "all'ultimo sangue" del giudice Terranova: i set del film da Palermo a Vizzini
Il regista Scimeca ci racconta la sua storia che si intreccia con quella d’Italia, i buchi neri, "le collusioni e il potere che ha protetto Luciano Liggio e i corleonesi"
Una scena dal film di Scimeca sul giudice Terranova
Di tutto questo ha recentemente parlato a Castelvetrano, intervenendo alla presentazione del libro del giornalista Felice Cavallaro dedicato alla storia d’amore tra Francesca Morvillo e Giovanni Falcone, al loro impegno e al loro sacrificio in un Paese in tempo di guerra.
Pasquale Scimeca ha terminato le riprese del suo film che vuole essere un omaggio alla memoria del giudice Cesare Terranova e, nell’attesa di definire le varie fasi della sua realizzazione, dal montaggio alla produzione, racconta l’idea e l’urgenza emotiva del suo lavoro:
«Fu un giudice fondamentale per lotta alla mafia; a quarantatrè anni dalla loro morte ce ne stiamo dimenticando. A me piace recuperare le storie delle persone che cadono nell’oblio.
La sua vita è stata un romanzo, non c’è bisogno di inventarsi niente per scriverne. Quando abbiamo iniziato a pensare a questo racconto, ci siamo documentati e abbiamo studiato moltissimo, facendo delle scoperte fondamentali. Terranova fu il primo giudice che ha avuto il coraggio di indagare i corleonesi, e la sua è stata una lotta all’ultimo sangue».
Ma non è solo questo il dato su cui concentrarsi, perché la sua storia si intreccia con la storia d’Italia, i suoi buchi neri, le collusioni e il potere che ha protetto Luciano Liggio e i corleonesi, facendo diventare quella mafia da marginale a centrale nel nostro Paese.
Abbiamo avuto un sacco di difficoltà – dice Scimeca - e io voglio finire questo film perché fa rivivere Terranova, Mancuso e Giovanna, perché spero che la loro vita possa essere di esempio per le nuove generazioni, e perché racconta la storia d’Italia e quello che non viene mai raccontato.
Vorrei che uscisse a settembre, in coincidenza con l’anniversario della loro uccisione, ma per rinverdirne la memoria e le azioni. A me piace celebrare la vita e non la morte».
Il film è stato girato tra Palermo, Petralia Sottana, Vizzini, e ripercorre i luoghi cruciali del magistrato che per primo portò a processo i corleonesi, sfidando Liggio, Provenzano, Riina, in un affronto che gli costò carissimo.
Trenta pallottole, mentre era a bordo di una Fiat 131, assieme al maresciallo Mancuso, anche lui morto in ospedale dopo essere rimasto ferito nell'agguato.
Era il 25 settembre del 1979. Eppure, nonostante le commemorazioni rituali, per far sì che tutto non finisca tra i fiori e le parole del momento, instillare la conoscenza della storia non è semplice. Il vero senso della lotta culturale alla mafia, per Scimeca, è dare una visione ai giovani, far acquisire loro consapevolezza sull’autentico significato di una necessaria battaglia civile, invertire l’idea di forza che, nonostante le stragi e le ingiustizie, si tende ancora ad attribuire a chi ha commesso il male.
Secondo Scimeca la storia del giudice Terranova è l'anello mancante della narrazione della lotta alla mafia, e nella produzione cinematografica e letteraria c'è un buco nero, un salto temporale tra l'antimafia sociale dell'immediato dopoguerra con i conflitti contadini dei feudi e l'antimafia come siamo abituati a conoscerla a partire dagli anni ottanta fino a Falcone e Borsellino.
Terranova fu il primo a fare un maxiprocesso, a concepire la mafia come organizzazione piramidale e a intuirne le connessioni con la politica, e il maresciallo Mancuso fu l'unico che non lo lasciò solo, affiancandolo nelle indagini per vent'anni.
Di quegli anni bui, tuttavia, non rimane niente, c'è un vuoto totale nelle coscienze, perché c'è molta retorica e poca sostanza. Scimeca, intervenendo a Castelvetrano nel corso del "PalmosaFest", rassegna letteraria che ha ospitato scrittori, poeti e giornalisti per affrontare i temi più svariati ma anche per raccontare questa parte della storia d'Italia, macchiata da scandali, ingiustizie ed esplosioni.
Ha condiviso con il numeroso pubblico della Collegiata dei Santi Pietro e Paolo il suo desiderio, sia riguardo al film e alla sua speranza che veda la luce entro il 2023, sia riguardo ai giovani, affinché possano maturare la voglia di identificarsi in chi ha sempre operato con abnegazione e senso della verità per il bene collettivo, imparando ad affrancarsi da certe suggestioni che molti film e serie tv riescono a trasmettere nonostante tutto: nonostante il male rappresentato e agito dai ‘protagonisti’.
Il suo lavoro probabilmente più famoso è uscito nel 2000 ed è “Placido Rizzotto”, lungometraggio ancora una volta dedicato a una storia realmente accaduta: alla vita del sindacalista socialista, rapito e ucciso a Corleone per ordine di Luciano Liggio. Il nuovo film conferma la vocazione del regista ad affrontare la storia e l’antropologia siciliana indagando il mondo della mafia e il suo radicamento nel territorio.
Un’attitudine appassionata, confermata anche da una scelta di vita che lo ha portato a risiedere nella ‘periferia esistenziale’ nel cuore di Palermo, nel quartiere di Borgo Vecchio, «per vivere tra la gente, osservare e capire dall’interno quello che succede un po’ ai margini, seppur a ridosso della zona centrale».
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