ITINERARI E LUOGHI
In Sicilia le colline diventano dolci e c'è "la Scala" in miniatura: sei a Zabut, la splendida
Due guide speciali per un viaggio in Sicilia che quest'anno si sposta in un borgo tra i più affascinanti dell'Isola. Tra specialità culinarie, storia e paesaggi da cartolina
Sambuca di Sicilia vista dall'alto, foto pubblicata dal Times
Sono state dimenticate a favore di foto il cui scopo è solo mostrare se stessi, senza alcun saluto. Per ricordare le vetuste cartoline ho deciso di chiamare questo mio nuovo diario di viaggio in Sicilia, "Cartoline dall’Isola". Un "Grand Tour" alla ricerca di luoghi, storie e personaggi.
La prima tappa è Sambuca di Sicilia, raggiunta da Palermo, attraversando colline e rilievi, lungo tornanti contornati da Sulla rossa e distese di fiori gialli di finocchietto selvatico.
Le mie guide saranno Antonella e Salvatore in una visita che durerà due giorni, saranno loro a svelarmi i segreti di questa cittadina.
Antonella è un’insegnante, pendolare tra il Lazio e la sua Sambuca, e inizia il suo racconto dal sito archeologico di Monte Adranone poco distante da Sambuca. Qui si trova Adranon un’antica città con abitazioni, acropoli, templi e una necropoli, dove si trova la "Tomba della regina".
Da poco è terminata la festa della "Madonna dell’Udienza", e il corso ha sospeso in alto una delle bellissime corone, presenti anche negli altri 11 quartieri sambucesi.
Camminando si notano i bellissimi palazzi del 600, merita una visita il teatro “L’Idea” edificato a metà dell’'800, una piccola "Scala in miniatura" con il "salotto sambucese". Continuando la passeggiata mi dirigo alla Chiesa di San Calogero sede dell’Istituzione dedicata a Gianbecchina, il pittore sambucese che negli anni trenta partecipò al gruppo d’avanguardia insieme a Guttuso.
La Sicilia è dipinta attraverso le sue "cromie" e ritrae la vita dei campi. È intensa la sensazione che si prova di fronte a questi quadri si è inondati da colore e luce.
Antonella mi racconta di Sambuca, iniziando dal suo antico nome "Zabut". Si pensa che fosse uno strumento musicale arrivato con gli arabi che s’insediarono nell’830', una piccola Arpa, che è nello stemma della città.
Un’altra ipotesi riporta la storia del leggendario guerriero, l’Emiro Al-Zabut, che partecipò a numerose battaglie guadagnandosi l’appellativo di "Al-Chabut, Splendido”, termine che diede anche alla città dove costruì una cittadella fortificata che fu chiamata Zabut la Splendida, l’odierna Sambuca.
Con l’arrivo dei Normanni, gli arabi furono cacciati tra battaglie ed eccidi; alcune leggende raccontano delle grida di terrore degli arabi rinchiusi nelle cave "le Purrere" da cui si ricavava la pietra per la costruzione delle case, che disperatamente cercarono una via di fuga tra i cunicoli.
Da allora Sambuca, città di baroni e marchesi, ricca di palazzi, chiese e monasteri, arriva tra alterne vicende e con un rango principesco fino ai nostri giorni.
Sambuca ha due patroni, continua Antonella, gli attuali Signori della città: la Madonna dell’Udienza e San Giorgio. Arrivo a Piazza della Vittoria dove su un piedistallo c’è una grande lumaca, e dal lato opposto il Santuario con Maria Santissima dell’Udienza. All’interno la chiesa è divisa in 3 navate e 5 campate con archi a tutto sesto, nella nicchia al centro la statua marmorea della Vergine opera di Antonello Gangini.
Lei è "la Mamma di tutti i sambucesi" dal volto dolcissimo con il capo reclinato in una posizione di ascolto, mentre con le mani solleva il Bambino. È struggente questa Vergine che ascolta le preghiere dei fedeli e che forse ricorda un’antica tradizione che racconta che Maria, sul Monte Carmelo in Palestina, ogni anno dopo Pasque, ascoltava suppliche e raccomandazioni.
La chiesa fu edificata su una precedente nel 1530, e la sua festa è la terza domenica del mese. Lascio la Signora dell’Udienza e mi dirigo sulla strada a fianco, a pochi passi mi aspetta il dolce tipico di Sambuca, le “Minne di Virgini”, sono diretta alla pasticceria Pendola.
Qui Alessandro, Calogero e Giuseppe continuano a realizzare questo dolce seguendo la ricetta originale. Mi accolgono nel laboratorio mentre stanno modellando con le mani, questi piccoli "seni", con molta attenzione, forma e misure devono essere precise, sembrano carezze, e dove la parte più difficile è il capezzolo bruno, "deve essere marcatamente ben evidenziato” diceva Enrico Pendola, capostipite di questa attività, che nel suo marchio ha una lira con tre "minne".
Mi avvisano i pasticceri che è un dolce che non può essere conservato a lungo, la delicatezza dell’interno con il biancomangiare, la zuccata con scaglie di cioccolato, l’aroma di garofano e cannella, consigliano di gustarlo senza indugi. Mentre mi perdo in questo "dolce divino" penso al libro di Maria Oliveri, “Le Impudiche paste delle Vergini”, dove viene racconta la leggenda legata a questa pasta.
Scrive che fu un’invenzione di Suor Virginia di Rocca Menna, realizzata per il matrimonio di un nobile. Suor Virginia così descrisse la sua creazione: "Guardavo dalla mia stanzetta le colline e ho pensato a un dolce con queste forme, con la dolcezza di questa terra".
La madre dello sposo fu entusiasta di questa creazione che prese il nome della suora, ma aggiunse facendo arrossire le suore: "Più che una “Virginia della Menna”, direi che si tratta di una minna di Virginia”.
Notando un certo imbarazzo si corresse: “ vuol dire che chiameremo questa pasta "seni di vergine" e non di Virginia, nel nostro idioma “Minni di Virgini”.
Dopo un altro giro tra vicoli e palazzi mi fermo, è stata una giornata densa di storie, dolcezza e bellezza, continuerò domani la scoperta di Zabut la Splendida, nuovi racconti e incontri mi aspettano…
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