STORIE
Il teatro (e il pane) erano nel suo destino: Tindaro, che nacque sul tavolo della cucina
Nato a Tindari, l'attore siciliano si considera prima di tutto un contadino: "Ho vissuto, sin da piccolo, al fianco di mio nonno che coltivava la terra, insegnandomi tutto quello che so"
L'attore siciliano Tindaro Granata
«Sono nato a Tindari - ci ha detto Tindaro che da anni vive al nord tra Milano e, al momento, la Svizzera italiana - ma sono nato in casa, non per velleità modernistiche ma perché all’improvviso una notte decisi di nascere, sorprendendo tutti in casa. La situazione fu così estemporanea che, in attesa che arrivasse la levatrice, mia nonna fece partorire mia madre sul tavolo della cucina».
Sembra un racconto di altri tempi - che tra l’altro Tindaro, oggi 43 enne, fa con grande empatia e gioia - ma questo momento così eccezionale, in qualche modo, ha segnato, e continua a farlo, tutta l’esistenza dell’attore siciliano.
«Ho un legame fortissimo con la mia famiglia, con le mie radici siciliane e soprattutto con la campagna e le tradizioni più antiche che, come posso, cerco di tenere vive e tramandarle anche vivendo qui al nord.
Guardando i suoi profili social, Facebook e Instagram, risulta evidente come Tindaro sia mosso, in qualunque ambito, dalla forte passione che colora, ogni giorno, la sua vita e che lo ha portato, tra le altre cose, a nutrire da anni il “suo” lievito madre a cui ha dato il nome di Sofia Loren che, proprio durante i mesi più duri della pandemia, è stato propulsore di rapporti sociali e condivisione di storie personali.
Ma facciamo un passo indietro.
«Fino all’età del diploma non pensavo minimamente a fare l’attore - ci ha detto Tindaro - ero appassionato di cinema, sopratutto di film del neorealismo italiano ma non solo, e i miei idoli erano Marcello Mastroianni e Sofia Loren (non a caso il lievito madre ha il suo nome - ndr). Il film “Matrimonio all’italiana” posso dire di averlo visto circa 200 volte.
Poi all’improvviso capii che avrei voluto fare proprio il loro lavoro. All’epoca il servizio di leva era obbligatorio e allora, appena maggiorenne, mi imbarcai sua una nave della Marina e per oltre un anno fui un meccanico artigliere.
Appena sbarcai, era il marzo del 1999, lasciai la Sicilia alla volta di Roma dove, per mantenermi, ho svolto tanti e diversi lavori, e la sera frequentavo corsi amatoriali di recitazione, non potendo permettermi l’Accademia.
Uno di questi corsi era tenuto da Giulio Scarpati; durante il suo corso mi ritrovai a fare un provino per uno spettacolo, il Pulcinella, di Massimo Ranieri. Fui preso subito e, devo dire, investendo molto su di me, sulla mia instancabile passione, Ranieri adattò il personaggio a me. La mia carriera cominciò così e da allora non si è più fermata.
Un’altra persona a cui devo tanto è Carmelo Rifici, anche lui siciliano che ha affiancato per tanti anni Luca Ronconi, che ha sempre creduto in me e con il quale sono cresciuto molto professionalmente. All’inizio la mia famiglia non ha accolto bene la mia volontà di diventare attore ma poi, quando sono venuti a Milano a vedermi in scena con Ranieri mi hanno dimostrato tutto il loro sostegno».
Tindaro Granata è un animo ricco di entusiasmo e di rinnovato stupore verso la vita e verso i doni che essa può farci, se le concediamo l’opportunità di stupirci.
«Se mi guardo indietro mi sembra che gli ultimi vent’anni siano volati - ci ha detto Tindaro - proprio come recita quella nostra canzone tradizionale a cui sono molto legato che fa “sinni eru li me anni, sinni eru e un sacciu unni” (Vitti ‘na crozza). Ma un filo conduttore lega tutta la mia vita e cioè la forza di credere in ciò che si desidera, poi la vita ti darà i suoi frutti. Questo è sicuro, per me è stato così».
Da buon siciliano cresciuto con cibo genuino Tindaro sa fare il pane in casa da quando è piccolissimo, conoscendo tecniche, segreti e trucchetti per un’ottima panificazione che, proprio nei mesi del lockdown, sono stati una risorsa non indifferente.
«Mi faccio arrivare dalla Sicilia i sacchi di farina, scegliendoli accuratamente e da quando ho la Sofia (il suo lievito madre, che per Tindaro è come un componente della famiglia che porta in tournée con sé, tra aerei e treni), ho voluto condividere con gli altri questo mio sapere che va tutelato e che, inevitabilmente, crea connessioni e incontri con la gente».
Nei mesi scorsi, infatti, Tindaro ha messo un annuncio su Facebook invitando quanti volessero, rispettando sempre le norme anti covid, a panificare a casa sua (con annesso giardino), a Milano.
«È stato un successo, mi hanno risposto circa 200 persone, e a piccoli gruppi li ho incontrati tutti».
L’esperienza è stata talmente ben accolta e nutriente - perdonate il gioco di parole - dal punto di vista umano che il prossimo anno Tindaro Granata svolgerà laboratori di panificazione in alcuni teatri nazionali, una sorta di happening in cui il pubblico diventa protagonista, attraverso l’antica arte della panificazione.
«Adoro ospitare gente in casa e preparare loro antiche ricette come i “maccarruna cu filu”, pasta fatta in casa che ho imparato a fare da bambino. Dobbiamo salvaguardare il nostro patrimonio culturale e quello siciliano è ricchissimo ma in gran parte si sta perdendo».
Per questo motivo, ogni volta che può, Tindaro ritorna nella sua Sicilia, dalla sua famiglia e non perde occasione per ritornare anche alla vita nei campi.
«Scendo presto, è tempu ri cogghiri alivi - ci ha detto - non posso mancare e poi torno a riprendere il mio lavoro con le detenute del carcere di Messina e, nel 2022, porto in scena a Sambuca il mio Geppetto Geppetto (lo spettacolo con cui nel 2017 ha vinto il Premio Ubu)».
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