ITINERARI E LUOGHI
Il (prezioso) sito preistorico di Marcita in Sicilia: a fare i primi scavi fu Sebastiano Tusa
Una terra del profondo Sud, profondamente scossa dalle influenze dominatrici e in grado di soddisfare il palato degli appassionati di storia, cultura e archeologia
La Sicilia, una regione che offre ben 489 aree archeologiche. Nel profondo Sud e precisamente nel territorio castelvetranese, tra boschi, natura e fauna, un sito archeologico mostra i segni del tempo e ci riporta indietro all’età del bronzo.
L'area archeologica di Marcita rappresenta uno spaccato da vivere, osservare e custodire gelosamente tra le visite in ambito archeologico.
Sin dai primi scavi effettuati nel 1983 da Sebastiano Tusa, s’intuì che non fosse una ricerca semplice e nonostante i tentativi di trafugare i beni al suo interno, l’archeologo portò a termine una sessione di lavori e rinvenire parte dell’oggettistica poi trasferita presso il museo Archeologico Regionale Antonio Salinas di Palermo.
Un’area interessata dagli insediamenti preistorici dove l'approvvigionamento idrico avveniva anche mediante pozzetti scavati nella calcarenite che favorivano l’emergere delle acque di contatto. L'ambiente è caratterizzato dalla presenza dei “magaggiari” nella bassa vegetazione dove prevalgono palme nane e giunchi ( adesso rientra nel bosco Marcita - Trinità).
Per quanto riguarda la tomba A è quella meglio conservata. A pianta ovale dalle dimensioni di circa mt. 1,40*2,00. L’altezza di circa 1,40 metri.
Rispetto alla tipologia tradizionale, questa cella ha una conformazione anomala. Non rappresenta una sezione ogivale o piano-convessa.
La camera sepolcrale risulta, quindi, cilindrica. Potrebbe derivare dallo stato precario in cui versava la tomba stessa. Sia nella tomba A che B è presente un particolare non indifferente: il dromos (lungo corridoio).
Inoltre tre gradini intagliati nella roccia collegavano il piano esterno al dromos ed una soglia alquanto rilevata separava quest’ultimo dalla cella sepolcrale.
La tomba B, nonostante i ripetuti tentativi di scasso con mezzi meccanici e una violazione subita, ha mantenuto intatte alcune caratteristiche. Di dimensioni maggiori e ovale con asse rivolto in senso Est-Ovest. Altezza di circa 1,70 metri.
Invece la tomba C è stata l’unica inviolata e rinvenuta successivamente durante una ricerca topografica dell’intera area di Marcita. Non presenta infatti nessun accenno “monumentale”, cioè dotato di un dromos. Si apre lungo il fianco meridionale della vallecola e si trova di fronte alla tomba B.
L’ingresso è alquanto impreciso perchè scavato su un fianco obliquo in modo da creare una discesa disordinata verso la celletta funeraria. Scavata interamente nella calcarenite con asse maggiore orientato a senso Est-Ovest. Contraddistinta dall’elevato numero di scheletri (circa 100) presenti nonché l’assenza totale di corredo al suo interno.
Ricoperta interamente di ossa senza un ordine apparente (ossario) e coincide verosimilmente con la popolazione presente in quella zona.
L’ unico elemento diagnostico in tal senso è il "pettine". Tra il materiale rinvenuto fanno parte dei vasi, ciotole, brocche, bicchieri, olle e frammenti di diversi oggetti presenti all’interno delle tombe. Il sito registra anche la presenza del cosiddetto Bicchiere Campaniforme.
Si apre uno scenario impensabile che delinea un profondo collegamento con la regione sarda. In particolare, i due vasi polipodi rinvenuti nella necropoli siciliana trovano confronti con materiali simili trovati nelle grotte delle Volpi e di San Bartolomeo, nella Sardegna meridionale, mentre la ciotola carenata a fondo concavo, sempre da Marcita, è simile per aspetto formale e sintassi decorativa ad esemplari rinvenuti nella tomba campaniforme di Marinaru a Sassari.
A tali aspetti materiali è possibile, inoltre, aggiungere il già menzionato caso dell’architettura funeraria. Molte delle tombe infatti, presentano corridoi d’accesso alle camere sepolcrali costituite da tombe a grotticella, secondo una tradizione ben affermata.
Infine, va ricordata la stretta somiglianza di natura antropometrica esistente tra i tipi umani rinvenuti in diverse necropoli campaniformi sarde, calabre e in quelle siciliane. Dall'analisi di questi reperti, grazie ad una tecnica nota come hybridization capture, i ricercatori sono riusciti a isolare e sequenziare quantità di Dna sufficienti per l’identificazione del genoma mitocondriale di due individui.
E il confronto con altri resti preistorici ha rilevato forti affinità con campioni rinvenuti in siti archeologici come Marcita. I due genomi mitocondriali che sono stati individuati appartengono entrambi all’aplogruppo H, la tipologia di Dna mitocondriale oggi più diffusa in Europa che si stima sia arrivata nel nostro continente dal Vicino Oriente prima dell’Ultimo Massimo Glaciale, circa 22000 anni fa.
Un altro studio interessante ha permesso di trovare delle analogie tra l’unica capanna presente a Marcita e una serie di capanne rinvenute a Thapsos.
Oltre alla forma circolare, è presente lo stesso numero di fori perimetrali per i pali verticali, due le basi di appoggio per i pali centrali che nella capanna di Thapsos sono in pietra calcarea mentre a Marcita sono ricavate a mò di pozzetto nella roccia di base. Stessa cosa dicasi per il sistema di raccolta delle acque che evidenziano strutture simili che delineano un quadro generale abbastanza preciso.
Marcita è un patrimonio collettivo che tutti dobbiamo preservare. Una crescita esponenziale che passa dalla conoscenza, lo studio e il rispetto nei confronti di una civiltà antica che ha contrassegnato una parte della storia del territorio castelvetranese.
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