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Il Nuovo Montevergini, l'epoca d'oro di Palermo: una calamita di energie aperta alla città
Dal 2005 al 2012, sotto la guida di Alfio Scuderi, il Montevergini accolse residenze di artisti tra teatro, musica e arti visive, divenendo "casa di cultura" aperta alla città
Un'immagine del Teatro Montevergini di Palermo
In quel lasso di tempo, sotto la gestione di Alfio Scuderi (coadiuvato per un periodo anche da Sandro Tranchina, oltre che da un gruppo di lavoro rodato, ognuno con competenze specifiche) si realizzò un primo ed efficace, esempio di gestione di un luogo pubblico, aperto alla città, sotto l’azione di un privato.
«Quando parlo del Nuovo Montevergini - ci ha detto Alfio Scuderi - sono un fiume in piena, perché quel progetto lo porto sempre nel cuore.
Tutto nacque dall’idea di voler rendere quella struttura attiva fondamentalmente a livello culturale. Dopo anni in cui era stato un centro sociale, anche di buon livello mi viene da dire, lì vidi il concerto dei 99 Posse, era stato ristrutturato e sarebbe diventato un luogo destinato ad uffici comunali, in sostanza.
Di fatto si realizzò uno dei primi, se non il primo, esempio di sinergia tra pubblico e privato. Caposaldo che per me rimase come un faro lungo tutta la gestione».
L’identità del Nuovo Montevergini (per coloro che lo hanno vissuto viene individuato così, solo con il nome) rimase dunque quella di luogo pubblico aperto alla città che comprendeva un atelier, la parte della chiesa destinata alle rappresentazioni teatrali, oltre agli spazi off per le prove e sei camere per le residenze di artisti (assoluta novità per Palermo e chimera tutt’ora),
«Nelle otto edizioni, in sette anni, di Palermo Teatro Festival il Montevergini, devo dirlo, ancor di più del teatro Stabile della città negli stessi anni, fu crocevia dei più significativi artisti e progetti culturali, sia nell’ambito del teatro e non solo.
Le attività si svolgevamo tutto il giorno, dalla mattina alla notte. Dalle prove, alle presentazioni di libri, alle mostre che coinvolgevano anche i dipartimenti dell’Università, passando per gli spettacoli teatrali fino alle serate in musica, che chiudevano la giornata.
Quel posto, in poco tempo, divenne un catalizzatore di energie che tutti ancora mi ricordano quando mi incontrano.
Lo spettacolo "Cani di bancata" di Emma Dante segnò la prima residenza di artisti che portò ad una produzione che poi girò l’Italia; e poi tanti altri.
Il grande successo de “Le mille bolle blu” con Filippo Luna, “Nel mare ci sono i coccodrilli” con Paolo Briguglia. Le serate in musica con i Sun e con “A noi ci piace vintage”.
Tutti gli artisti che sono passati di lì hanno contribuito con noi a scrivere la storia del Montevergini, c’era una commistione bellissima. Claudio Gioè, Alessandro Haber, Robertò Andò, una giovanisisma Isabella Ragonese, e tanti altri.
Ricordo, ad esempio, Rocco Papaleo che dopo lo spettacolo passava in atelier e si metteva a cantare, succedevano cose di questo tipo che davano la misura che quello fosse un centro di cultura, a 360 gradi, aperto alla città.
C’era tutto: musica, teatro, arti visive, incontri con presentazioni di libri e, nel tempo, anche un bar che, per quanto venne criticato all’inizio, era invece un altro tassello indispensabile che, oltre a portare risorse economiche, giustamente, era il collante tra un’attività e l’atra, come avviene in ogni città del mondo.
In più offrivamo anche spettacoli per un target di pubblico eterogeneo, ricordo “Lui e lui” con Paride Benassai e Marcello Mordino, e poi Giorgio Li Bassi. Insomma le porte del Montevergini erano aperte a tutti».
La parabola ascendente di queste diverse attività, tutte a sfondo culturale e di cui si sente la mancanza ancora oggi a Palermo, arrivò nel dicembre del 2012, per quanto un coro di estimatori, tra artisti nazionali e fruitori, si alzò affinché il Montevergini non chiudesse i battenti.
«Sinceramente è rimasta l’amarezza per la conclusione di quella realtà. I festival, è nell’ordine delle cose, iniziano e finiscono, ma duole vedere che tanti sacrifici e la conquista di un’identità in città, sotto il profilo culturale, siano andati sprecati - continua Scuderi -.
Se ho commesso un errore, lo riconosco, è stato quello non aver chiesto una riconferma del progetto al cambio della sindacatura, ma è stato un atto volontario.
Non avrei mai voluto imporre questa realtà a chi sarebbe arrivato al posto dell’allora sindaco uscente, non avrebbe rispettato il senso di questo accordo iniziale tra pubblico e privato. Contavo sul fatto che i risultati ottenuti e la risposta della città parlassero da soli. Feci un errore in buona fede o forse le cose dovevano andare così».
Nel 2015 un appello sottoscritto da oltre cento artisti, al grido di "Un luogo chiuso é un luogo negato, un luogo inattivo é un luogo morto", chiedeva la riapertura del Montevergini che, comunque, a pieno regime non si verificò da lì a breve.
«Aver visto quel luogo, un tempo molto attivo nel tessuto cittadino, chiuso per otto anni mi ha segnato e, ancora oggi penso che si potrebbero mettere a frutto, ancor di più, secondo me, le potenzialità di quella struttura, unica in città».
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