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Il lagnuso, u scantatu e Jachinu: perché se mancano loro non c'è presepe in Sicilia

La tradizione di fare il presepe a Natale è un'arte tutta familiare e ogni casa ha la sua. Ma ci sono 3 o 4 personaggi che nei presepi siciliani non devono mancare

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 23 dicembre 2023

Il pastore Benino, il dormiente del presepe, che in Sicilia è "U lagnusu"

Si racconta che la notte di Natale del 1223 San Francesco imbastì il primo presepe della storia. Io non c’ero, ma per me San Francesco era il nome del bar sotto casa che faceva delle arancine fenomenali, che onestamente nel presepe ci sarebbero state una favola. Anzi, una “accarne” e una “abburro” messe belle fumanti nella stalla al posto del bue e dell’asinello sicuramente avrebbero tenuto tutti al calduccio. E invece no, una fatica ‘stu presepe!

Eh già, perché se da un lato c’erano le famiglie (da me invidiatissime) che facevano dei presepi magnifici, con le statuette d’autore tutte della stessa misura, il piano regolatore a norma, il ruscello dell’acqua che scorreva veramente e il Comune col bilancio attivo e senza dissesto finanziario, di contro, a casa mia, con zio Aspano direttore dei lavori, era tutto molto difficile.

Si partiva dall’apertura dello scatolone che, mistero della fede, era sigillato con un rotolo di scotch da imballaggio ma ogni volta che si apriva tirava fuori due, tre, statuette in meno dell’anno prima, che puntualmente dovevamo andare a ricomprare in qualche bancarella e ci si accontentava di quello che si trovava.
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Era così che certi anni ci trovavamo tre Melchiorre (Giuseppe e Maria ringraziavano perché s’ammuccavano tre volte l’oro), tre Gaspari che impuzzavano tutto di incenso o tre Baldassarre che con tre casse di birra se ne uscivano dalla malattia e facevano bella figura. Che poi chissà perché i primi due Magi hanno la doppia “r”, mentre l’ultimo no.

Di giusta regola avrebbero dovuto essere Melchiorre, Baladassare e Gasparri… no, forse meglio di no.

Comunque, sagrada familia a parte, dove a volte il bambinello accanto a Giuseppe sembrava il gigante Golia al cospetto di Magalli, il presepe era composto da tutta una serie di altri personaggi, figure, controfigure e comparse, che ne accentuavano la personalità e che lo rendevano unico e diverso.

Non era raro, per esempio, che l’angelo annunciatore potesse essere una volta e mezzo l’altezza della stalla e non avendo dove appizzarlo lo mettevamo curcato da qualche parte. Zio Aspano prediligeva per lui la curcata sulla montagna, ma essendo questa solamente di cartapesta collassava su sé stessa inghiottendosi l’angelo.

I pastorelli non potevano mancare, e un poco stavano a terra e un poco latitavano tra le montagne col girocollo di pecora sulle spalle; eccetto u scantato ra stidda che veniva messo vicino alla grotta e si chiamava così perché teneva l’espressione uguale uguale a quella de "L’urlo di Munch".

U ciaramiddaru, ovvero il suonatore di zampogna, ci voleva come il pane perché senza il Dj vedi che depressione, mentre il fabbro non era di quelli meccanici che dava veramente colpi di martello e quindi stava dall’8 dicembre al 6 gennaio col braccio alzato e immobile, rischiando di provocarsi una necrosi dell’arto. Poi a piacere c’erano chiddi: chiddu ru pani, chiddu ra ricotta, chidda ra frutta. “Quelli che”, avrebbe detto Jannacci, “vendono cose”.

Ciò che invece non ho mai capito è cosa ci facesse il pescatore nel presepe, dato che Betlemme sorge a 777 mt sul livello del mare, ad est dista 30 km dal Mar Morto, ad ovest 53 km dalla costa. Soprattutto non capivo che pesce dovesse mai pescare nel fiume di carta stagnola o nello stagno di specchio.

Immancabile nel presepe siciliano era Jachinu, quel signore con la pipa, la coperta sulle spalle e il panciotto giallo sotto la giacca. Forse guardava le oche nuotare pure loro nello specchio, molto più probabilmente mummìava la tessitrice o la quartarara (bedda figghia!), cioè quella che porta il vaso pieno d’acqua.

Quello che se la passava meglio di tutti però era il dormiente del presepe, chiamato nel napoletano Benino, ma che da noi è semplicemente u lagnusu. Il suo sonno rappresenta la giovinezza, l’immaturità dello spirito; il suo risveglio una rinascita. Noi però a sta cosa non ci crediamo, anche nei paraggi c’era sempre l’ubriacone del presepe, seduto su una botte a brindare.

Il problema ultimo rimaneva il bambinello, che non si sapeva mai se si doveva mettere sin da subito o direttamente a Natale, tant’è che qualche indeciso fino al giorno della nascita lo nascondeva sotto il muschio o lo copriva con la bambagia. Nemmeno lui doveva esserne sicuro, perché la tradizione dice che è nato l’anno 0, gli storiografi lo collocano invece tra il 4 e il 7 a.C., praticamente quattro anni prima della nascita di sé stesso.

Quando sollevavo a zio Aspano i miei dubbi e le mie perplessità, mi rispondeva che se avessi voluto campare cent’anni avrei dovuto farmi i fatti miei perché «il presepe, pure se allargata, è una grande famiglia, e non c’è famiglia che non ha i suoi problemi».
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