STORIE
Il creativo che Sgarbi volle nella sua giunta: Ballario ricorda la "sua" Salemi tra emozioni e rimpianti
Oggi è protagonista di un meraviglioso viaggio attraverso l'Italia in onda su Sky Arte. Per due anni, poco più che ventenne, ha vissuto uno dei periodi più ferventi di Salemi
Nicolas Ballario
Era tredici anni fa, e quell'avventura improvvisa, travolgente, un po' dispettosa, adesso procura una nostalgia che, però, non fa sconti al bilancio di quell'esperienza. Nicolas Ballario ricorda Salemi con un retrogusto amaro, e tanto affetto.
Classe 1984, nato a Saluzzo (Cuneo), ha mostrato sin dall'infanzia una grande predisposizione per l'arte, e in particolare per la fotografia. Per seguire le sue passioni, si è trasferito prima a Milano, dove ha studiato fotografia alla John Kaverdash School, e poi a Roma, per l'Accademia Altieri; protagonista di alcuni programmi radiofonici di arte e cultura (collabora con Radio Radicale e Rai Radio 1), nel 2019 conduce assieme a Oliviero Toscani la trasmissione "Camera Oscura", in onda su La7 in due puntate speciali dedicate alla scoperta della fotografia e dei suoi segreti.
«Lavoravo nella Factory di Toscani a Pisa – dice – e Oliviero mi mandò, appena nominato Assessore alla Creatività nella Giunta Sgarbi, a Salemi, per creare e dirigere una sorta di succursale della stessa Factory. La regola era che chiunque arrivasse non doveva avere più di 25 anni. Io ne avevo 24.
Alla chiamata pubblica di Oliviero, che cercava giovani creativi, arrivarono centinaia di curricula; ne selezionammo quindici circa e da lì partì il nostro progetto. Arrivarono domande da tutte le parti della Sicilia ma anche da più lontano. Da tutta Italia».
Cosa era Salemi a quel tempo? «Non avevamo orari, la nostra sede era bellissima, il Castello arabo normanno, e c'era un flusso continuo di idee. Eravamo una sorta di comitato creativo e proponevamo cose da fare in continuazione per portare il nome di Salemi in giro per il mondo. Ognuno si poteva esprimere come voleva. Salemi era viva giorno e notte, i ragazzi creavano vita e movimento, portavamo gente da fuori e il paesino sembrava il centro del mondo».
Ma non fu una favola. Ci sono dei rimpianti. «È stata una bellissima esperienza, ma ero un ragazzino, forse anche un po' immaturo, che si ritrovava in un sogno, un laboratorio di giovani creativi in un paese in fermento. Per me era un periodo eccitante, ma con il senno di poi posso dire che abbiamo sbagliato tante cose.
Abbiamo sbagliato il metodo, sono state inseguite idee effimere e abbiamo perso di vista una parte strutturale che andava fatta lì. La politica siciliana è complicata… Più di quella italiana».
Salemi a quel tempo era la strada di tanti visionari: da Umberto Montano a Philippe Daverio, ma alla fine non è stato concretizzato quello che era nel progetto, negli ideali immaginati.
«Non è colpa di nessuno – dice Nicolas - ma sicuramente abbiamo tutti delle colpe. Io per primo».
Tantissime le memorie, tanti i salti indietro che conservano momenti importanti. «Sono stato lì dal 2008 fino al Museo della Mafia con la presenza del presidente Napolitano. Dopo non sono più andato. Due anni più o meno».
Inaugurato l'11 maggio del 2010, durante la visita a Salemi del Presidente della Repubblica del tempo, infatti, il Museo è stato realizzato dall'artista siciliano Cesare Inzerillo, assieme ai giovani del Laboratorio Sgarbi.
Dedicato a Leonardo Sciascia, simbolo di un'antimafia non retorica, utilizzava il linguaggio dell'arte per parlare di mafia in modo provocatorio e non convenzionale, attraverso un percorso multisensoriale, congegnato per immergere il visitatore in uno straordinario processo emotivo.
«All'inizio non ci credevo, ero scettico – racconta Nicolas -. Poi mi venne l'idea di coinvolgere Cesare Inzerillo e in quel momento ho capito che ce l'avremmo fatta. Iniziammo un lavoro incredibile che fu bellissimo: tanti ragazzi, veniva tanta gente, nessuno si aspettava quel che c’era, non era un documento di archivio, noi facemmo una cosa per niente retorica.
L'arte non c’entra nulla con la moralità e per questo al Museo c'erano immagini durissime e audio terrificanti che finirono in tutte le prime pagine dei giornali. Era molto scenografico. Il logo lo studiò Toscani: una macchia rossa di sangue con la scritta mafia sopra».
Entusiasti i ragazzi coinvolti in quel Laboratorio nella fase di costruzione del Museo, giunti a Salemi con con la voglia di una rivoluzione culturale a tratti ammirata e a tratti malvista.
«Elisabetta Rizzuto e Cristian Moncada – dice Nicolas – ma tengo a precisare che ce n'erano tanti altri di cui non ricordo in questo momento il nome perché ho una memoria terribile. Le nostre strade si sono separate, ma ogni tanto ci sentiamo ancora al telefono. Si era creato un bel rapporto con loro. Anche con Nino Ippolito; lui era uno di quelli con cui era divertente lavorare: un uomo dissacrante. Ogni tanto ci sentiamo. Lo ricordo con grande favore. In Sicilia sono tornato, ma mai da allora a Salemi».
Nicolas racconta e ricorda, mentre manca un'ora a una sua diretta in radio sull'arte contemporanea. Programmi che gli stanno dando una grande opportunità, per cui il sabato sera va in giro per l'Italia a parlare di ciò che sa far meglio e che più lo affascina.
«La mia passione per la Sicilia rimane. Nessun dubbio su questo – conclude -. Su tutto mi ricordo le persone, le cose vanno e vengono. Ad alcune ero molto legato e anche se non le vedo da tanti anni, continuo a sentirmici legato. Io stavo tanto tempo lì, la mia vita privata era stata li, e mi mancano.
Tornerei a Salemi volentieri. Mi piacerebbe, però ho questo piccolo senso di colpa; non so come vorrei accolto, e non ho voglia di polemiche. Conosco il sindaco Venuti, una brava persona, ci siamo anche incrociati a Roma sotto casa mia. Spero stia facendo belle cose e mi piacerebbe molto che ponesse attenzione al grande gioiello che è quel Museo, che dovrebbe dare a Inzerillo, coinvolgerlo nel restauro e nel rilancio, perché può avere un’attrattiva turistica non irrilevante».
Nicolas Ballario ha all'attivo anche un'interessante militanza politica: «L'ho lasciata con la morte di Pannella, cui ero molto legato. La politica da dirigente con il Partito Radicale da quel punto di vista non la faccio più – conclude – ma i diritti civili e umani restano sempre tra le mie priorità».
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