MISTERI E LEGGENDE
Il 1518 e la "piaga del ballo" a Strasburgo: chi fu il Santo siciliano che liberò la città
La più grande puntata di “Ballando con Stelle” della storia dell’umanità è andata in onda 500 anni fa. Non ci credete? Partiamoci da San Vito, no la città, il Santo
Un quadro raffigurante la piaga del Ballo di Strasburgo
Per evitare di fare confusione bisogna partire dicendo che stu potente trip di massa, che Woodstock può accompagnare solo, si chiama tecnicamente “Ergotismo” e probabilmente è quello che successe a Salem per la caccia alle streghe e ai i siciliani ogni volta che devono eleggere il presidente della regione (in questo caso il circo Orfei calza a pennello!).
Ora, in questa storia dobbiamo tracciare una retta che collega la città di Strasburgo alla nostra bella San Vito Lo Capo, dove ci piace tanto andarci a mettere i piedi ammollo d’estate e mangiare couscous. Mi dispiace ma non si tratta di ricevere sovvenzioni europee, per quelle se ne parla appena i nostri amministratori arrivano alla tabellina del nove.
Vito nasce a Mazara nel III secolo e oggi è l’unico siciliano a fare parte dei quattordici “santi ausiliatori” che, per capirci, è tipo la nazionale di calcio dei santi di cui fanno parte quelli più forti che si invocano in situazioni particolari. La sfortuna di Vituzzo è quella di nascere nel periodo di Diocleziano, un imperatore che fra tutti gli hobby strani che poteva avere s’era andato a scegliere quello più stravagante di tutti: collezionare martiri (“probabilmente”, gli avrebbe detto Freud, “il suo è un caso di complesso di Edipo non risolto con il Padre Eterno”).
Per mano sua vengono martirizzati San Vito, Sant’Agnese, San Cosma e Damiano, Sant’Erasmo, la nostra Santa Lucia, San pancrazio, e pure Santa Suina (sulla quale non ho voluto indagare per ovvie ragioni). Il miracolo più strano che ho sentito di San Vito narra di lui che, mentre si trova in Sicilia, a Regalbuto, incontra dei pastori disperati perché dei cani gli hanno sbranato il figlioletto.
Il santo si fa restituire i resti del pargoletto dai cani, lo rimonta pezzo per pezzo e lo riconsegna vivo ai genitori. Se San Vito lavorava per la “LEGO” o se i pastori erano antenati del signor Ikea, questo, non lo possiamo sapere; quello che conta è che il culto si San Vito si espande sin da subito in tutta Europa.
Comunque, ci spostiamo a Strasburgo nel 1518. Accade che, un giorno come un altro dell’estate di quell’anno, una donna di nome Troffea, che doveva essere la versione tarocca di Poppea, esce di casa e di punto in bianco si mette a ballare. All’inizio pare solo felice perché magari ha preso un terno secco per la ruota di Palermo ma, passa un’ora, ne passano due, la gente comincia a pensare che Troffea è un po’ colpita in testa, poverina.
Come nei peggiori incubi di John Travolta in “La febbre del sabato sera” la gente comincia ad imitare Troffea e, piano piano, le strade di Strasburgo si riempiono di persone che ballano qua e là. Tra gli spettatori di questo assurdo spettacolo si trova pure uno scrittore di nome Sebastian Brent che rimane talmente impressionato dalla scena che nel suo libro “La nave dei folli” (1549) dedica un capitolo a questo pazzo evento che passerà alla storia come “la piaga del ballo”.
La gente, come spesso accade, prende la cosa sottogamba: chi organizza mazurche sui tetti dei palazzi gridando “Matteo! Matteo!”, chi nega l’esistenza della strana epidemia “Non ce n’è ballo! Non c’è niente!”; insomma in men che non si dica Strasburgo si riempe di ballerini impazziti. Dotti, medici e sapienti vengono convocati nel palazzo del sindaco perché qualcuno deve pure trovare una soluzione. Pure qua virologi e controvirologi ne spararono di tutti i colori finché l’importante convegno non si risolve con seguente diagnosi: siccome il morbo è causato dal surriscaldamento del sangue nel cervello, non rimane che lasciare sfogare i forsennati fino a quando non cadano esausti.
“Portatemi Milly Carlucci!” si mette a gridare il sindaco; e, sempre sotto suo ordine vengono allestiti palchi nelle piazze di modo che gli invasi ballerini abbiano luoghi in cui aggregarsi. Chi ballava a destra, chi ballava a sinistra, ci sono proprio tutti: Kledi, Garrison, Don Lurio che ballava “tacco punta”, Enzo Paoli Turchi disperato perché Raffaella Carrà era Spagna e quindi faceva il “Tuca Tuca” con chi gli capitava e, ad accompagnarli, pure Demo Morselli con tutta la sua orchestra.
Le cose purtroppo non vanno come sperato, dopo giorni e giorni di ballo senza sosta le persone iniziano a morire di arresto cardiaco e di stanchezza. Passano le settimane, passa anche luglio e si fa settembre senza che la gente la smette di ballare e le piazze di Strasburgo rimangono piene di centinaia di persone. Il sindaco disperato manda le guardie per reprimere con la forza il morbo, ma pure loro non resistono a Gigi D’Agostino e si mettono a saltare.
Le autorità allora si trovano all’ultima spiaggia: bisogna liberarsi dei ballerini a tutti i costi. Con la forza (o forse grazie alla canzone del trenino di capodanno) riescono a convogliare tutti i ballerini fino ed esiliarli nelle colline fuori Strasburgo. In una di queste colline, il caso vuole, ci sia una grotta con all’interno un santuario dedicato proprio al nostro San Vito (non a caso patrono della danza).
Forse volutamente o forse casualmente si mettono a fare girotondo attorno a una sua statua di legno come se si trattasse di un rituale. Ebbene signori, prima di Santa Rosalia che libera Palermo dalla peste, San Vito libera Strasburgo dal morbo del ballo che sparisce in pochi giorni.
Come dicevamo all’inizio, la stessa cosa capita ad Alicudi quattro secoli dopo, la colpa è della segale cornuta, che non si chiama “cornuta” perché suo marito se ne va a letto con chi gli capita ma a causa di un fungo che cresce su di essa e che provoca fortissime allucinazioni. Sarà proprio da questo fungo che lo scienziato svizzero Albert Hoffman nel 1943 sintetizzerà per la prima volta la sostanza chiamata LSD, una delle droghe ancora oggi più potenti al mondo; il problema è che lo scopre usando se stesso come cavia.
Quindi, la prossima volta che dopo aver mangiato un pezzo di pane di segale qualche vostro parente si mette a fare il “Tuca Tuca” come Enzo Paolo turchi, fate una preghiera a San Vito o, meglio ancora, portatelo alla guardia medica.
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