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I movimenti giovanili e il giornale L'Ora: Fabio Sgroi e le sue foto (sempre in bianco e nero)
Con le sue immagini ha documentato l’evoluzione della città e la Sicilia che lo circondava. Immagini che ritornano in vetrina nella mostra “Archivio Volume Uno”
Nel tempo è diventato un fotografo apprezzato, che non ha mai smesso di raccontare ciò che lo circonda attraverso la fotografia. Fin dall’inizio ha dedicato il suo lavoro alla sua città e alla Sicilia, concentrandosi sui paesaggi urbani, la vita quotidiana, le ricorrenze e le cerimonie religiose. Le sue foto, sempre in bianco e nero, sono state esposte sia in Italia che all’estero. Attualmente, alcune sono esposte a Valence, in Francia, inserite nel progetto “Constellations” della coreografa Catherine Diverrès.
L’occasione per raccontare il suo percorso è una mostra, "Archivio Volume Uno", curata da Valentina Sestieri e Andrea Campesi, che si inaugura venerdì 10 giugno alle ore 19.00 presso Baco About Photogtaphs, in via Giacalone 33 e comprende le prime foto del suo archivio, dal 1984 fino ai primi anni ’90, che raccontano la scena punk palermitana anni ’80 e quella underground anni ’90, la cronaca per il giornale L'Ora e il suo lavoro indipendente, tra scorci di città, momenti privati, fatti di cronaca e di costume.
Nel 1986 Sgroi inizia a collaborare con il quotidiano L’Ora, occupandosi subito di cronaca per l’agenzia di Letizia Battaglia e Franco Zecchin. Erano i tempi in cui, alla sera o nel weekend, quando si era di turno, dopo il bip bip del cercapersone si telefonava in redazione per sapere dove bisognava andare a fotografare. Alcuni suoi scatti di quel periodo sono tuttora esposti al Centro Internazionale di Fotografia, presso i Cantieri Culturali, nella sezione dedicata al quotidiano L’Ora.
Sgroi aveva già iniziato a sviluppare uno stile personale e si trovava a suo agio con il bianco e nero, necessario per i quotidiani, che avrebbe sempre contraddistinto i suoi lavori. «Ho sempre lavorato in bianco e nero, mi ha sempre affascinato – spiega il fotografo – secondo me è più intimo, rende l’immagine più onirica e senza tempo».
I giovani ritratti qualche anno dopo diventano i protagonisti di un altro libro, “Palermo 90”, pubblicato nel 2021 da Union Editions. Giovani sbandati, inquieti, che vivono al margine della città e frequentano spazi occupati. Lo sguardo di Sgroi è già diverso, sperimenta l’effetto mosso, nuove inquadrature e l’uso del flash. «In quel periodo trascorrevamo le giornate a non fare nulla, in attesa della sera per andare a qualche festa o concerto – ricorda Sgroi – eravamo ribelli e vivevamo ai margini rispetto agli altri ragazzi. Io conoscevo tanta gente, mi inserivo nei vari gruppetti e fotografavo».
Centinaia di immagini che oggi sono diventate la più importante documentazione di quei movimenti giovanili e della controcultura cittadina di quel periodo.
Andando in giro per Palermo cresce anche l’amore per la città e, nel corso del tempo, le sue foto ne raccontano l’evoluzione. Da una città devastata dalla criminalità mafiosa, al periodo d’oro della rinascita culturale e poi i tanti anni di incuria e abbandono, fino ad oggi, che è una città più viva e globalizzata.
«Palermo è una città unica, molto folkloristica – afferma l’artista – anche il turista la può amare o odiare già al primo sguardo, perché c’è spazzatura ovunque e la gestione dei servizi non è eccellente, però l’evoluzione c’è stata e la città è migliorata tantissimo. Magari chi vive in centro risente della confusione e degli schiamazzi notturni, ma è giusto ricordare che vent’anni fa via Maqueda la sera era deserta e pericolosa.
Palermo ha sempre avuto alti e bassi e cambiamenti continui – aggiunge – gli anni ’90 sono stati un periodo di grande fermento, sono nati i Cantieri Culturali, le attività di luoghi come il Teatro Libero e tantissimi eventi culturali che hanno formato una generazione. Oggi l’aggregazione è diversa, più visibile, le strade e le piazze del centro sono sempre piene di gente. Anche i giovani sono molto cambiati, è cambiato il modo di stare insieme e di confrontarsi, c’è maggiore libertà: noi protestavamo, loro si esprimono e hanno tanta voglia di fare».
Di Palermo gli piace fotografare tutto. «Dovunque mi trovi – dice – il centro storico, la periferia, la spiaggia, c’è qualcosa da fotografare. Ho fatto della fotografia un atto quotidiano, ho lavorato molto sul paesaggio urbano con il formato panoramico e sono grato alla città per ciò che regala, per il tipo di socialità, per il clima e la luce che la caratterizza. Palermo mi ha permesso di crescere e di fotografarla sempre, sviluppando anche il mio percorso».
La decisione di rimanere a Palermo è legata ad un concorso alla Regione Siciliana e all’inizio del lavoro come “operatore tecnico addetto ai gabinetti fotografici”, spesso impegnato nei cantieri e nei siti archeologici di tutta la Sicilia. «Avevo ventisei anni, mi sentivo incastrato e fortunato al tempo stesso, ma il lavoro mi ha permesso una certa stabilità, lasciandomi abbastanza tempo libero e la possibilità di viaggiare periodicamente. I miei viaggi erano sempre ispirati dai luoghi da fotografare, facevo couch-surfing per scelta, trovando ospitalità sul luogo ed immergendomi così nella realtà locale; a differenza di ciò che facevo a Palermo, non giravo molto di notte, ero più concentrato a lavorare con la luce».
La voglia di sviluppare progetti personali, nei primi anni 2000, lo porta a viaggiare verso i Balcani, dove, terminata la guerra, erano in atto grandi cambiamenti. «Mi incuriosivano gli eventi geopolitici che stavano accadendo vicino a noi – ricorda – tanti paesi volevano entrare nell’Unione Europea, c’era un fermento interessante e volevo raccontare l’atmosfera che si viveva in quei posti. In seguito ci sono tornato, spostandomi anche verso luoghi di grande importanza storica come Auschwitz e mentre viaggiavo sentivo che stavano avvenendo cambiamenti epocali».
Immagini che fanno parte di “Past Euphoria-Post Europa”, un volume pubblicato nel 2017 da Crowdbooks, che racconta i mutamenti di un continente, dall’euforia di alcuni paesi dell’est per l’ingresso in Europa alla crisi successiva e alla disillusione di intere comunità.
Fabio Sgroi si è formato da autodidatta, influenzato sia dall’esperienza diretta in Sicilia che dal lavoro di altri fotografi studiati sui libri. «Ho sempre fatto una ricerca sul mio lavoro – racconta – ho cercato di avere un’impronta personale, un taglio diverso rispetto agli altri, ad esempio non mi piace il kitsch né l’uso eccessivo del grandangolo e la stessa ricerca su Palermo evidenzia che non mi interessa l’effetto cartolina. Ancora oggi lavoro nello stesso modo, mi piace fotografare i giovani e continuo ad amare la mia terra, che offre tante occasioni di grande impatto visivo».
Se, come diceva Henry David Thoreau, “Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere”, allora Fabio Sgroi si distingue per il suo sguardo curioso e capace di cogliere i dettagli e la complessità delle situazioni, riuscendo sempre a trascinarci nel suo mondo, in quegli attimi impressi che sembrano senza tempo.
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