ITINERARI E LUOGHI
I monumentali 13 archi tra gli agrumeti in Sicilia: dov'è il viadotto che "passa" il fiume
Il monumentale viadotto, integrato perfettamente tra orti e agrumeti sulle sponde dell'Eleuterio, resta testimone di un tempo in cui si credeva nella modernità
Il viadotto Mortilli in Sicilia (foto di Filippo Barbaria)
L’uso dei materiali e delle tecniche stereotomiche si fece sempre più sofisticato, approfondendo il tema degli archi e dei ponti obliqui, necessari nel caso di attraversamenti curvi. In molti casi, alla pietra si affiancarono i mattoni, ai fini di una maggiore resistenza statica e al contempo di una più ricercata resa estetica.
L’intero territorio isolano fu costellato dall’Unità in poi di ponti ferroviari ad arcate di uno o più ordini, anche quando nel resto del paese si stavano diffondendo velocemente le nuove tipologie di ponti in ferro.
Queste strutture, simbolo della modernità ma legate a un’immagine lontana nel tempo, consolidatasi nell’immaginario collettivo come sinonimo di potenza e magnificenza, caratterizzano ancora oggi il territorio siciliano così come i territori di molte regioni d’Europa, conservando, nonostante i progressi ormai raggiunti nell’ambito della progettazione dei ponti, un fascino e una potenza retorica innegabili.
L’opera fu costruita nel 1885, sotto la direzione dei lavori dell’ingegnere Achille Albanese, già progettista della stessa linea ferroviaria, per permettere l’attraversamento del treno sul fiume Eleuterio in contrada “Mortilli”. Le 13 arcate di cui si compone furono costruite con calcarenite compatta della vicina cava locale raggiungendo una lunghezza complessiva di 180 metri. Per conferire alla struttura una maggiore solidità, i piloni furono costruiti a scarpa, irrobustiti e ispessiti.
Essendo un ponte esclusivamente ad uso ferroviario, la larghezza è di soli 3 metri, lo spazio necessario per includere i 950mm dei binari a scartamento ridotto. Il piccolo treno percorreva quattro volte al giorno il viadotto Mortilli, intorno alle 7.15 e 16.45 nella direzione Corleone e intorno alle 8.45 e 18.15 nella direzione Palermo.
Percorrere tanti, tanti chilometri ornati dal fumo di una vaporiera era il modo migliore per conoscere bene un paese. La ferrovia non invade prepotente i panorami, piuttosto si fonde e si armonizza con essi, infiltrandosi discreta fin nei luoghi più remoti.
Già dal 1881 era nato un organismo consortile per costruire la linea ferroviaria, ma i lavori iniziarono solo dopo che nell’aprile 1884, venne subconcessa all’imprenditore inglese Robert Trewhella – rappresentante della società inglese Narrow Gadge Railways Company Sicily of London – venendo inaugurata il 15 Giugno 1886 fino alla stazione di Villafrati e dal 20 Dicembre fino a Corleone.
La nascita e lo sviluppo delle ferrovie a scartamento ridotto avvenne, in Italia come in Europa, quando, definita la rete ferroviaria fondamentale, occorreva costruire quella complementare e secondaria.
La limitata disponibilità di risorse imponeva di ridurre al minimo investimenti dove si prevedevano solo modesti volumi di traffico: lo scartamento ridotto consentiva un risparmio sui costi di costruzione intorno al 30%. Esso permetteva inoltre di realizzare tracciati che seguivano il più possibile l’andamento del terreno riducendo il numero e l’importanza delle opere d’arte.
La ridotta larghezza del nastro stradale determinava inoltre superfici di occupazione più modeste e quindi costi di esproprio più bassi. L’elevata tortuosità e le forti pendenze rendevano assai basse le velocità commerciali. L’adozione dello scartamento ridotto determinava inoltre, per i viaggiatori e per le merci, le necessità di trasbordo presso le stazioni di corrispondenza.
A quei tempi però questi ed altri limiti erano tuttavia tollerati. Infatti non esistevano alternative alla strada ferrata per la velocizzazione del trasporto: le prestazioni offerte dalle piccole ferrovie, oggi assolutamente anacronistiche, risultavano allora decisamente significative.
La ferrovia Palermo Sant’Erasmo-Corleone-San Carlo fu la prima linea a scartamento ridotto ad essere costruita in Sicilia; faceva parte dei primi progetti di costruzione di una rete ferroviaria in Sicilia che sopperisse alla mancanza di una qualsiasi rete viaria di collegamento tra l’interno e i punti di imbarco della costa.
Le rotte navali costituivano infatti l’unica possibilità di comunicazione e commercio sia con gli altri centri dell’Isola che con il resto del mondo.
Una ferrovia, ancor piccola, era ritenuta a quel tempo un formidabile mezzo di sviluppo per la commercializzazione delle risorse produttive agricole e minerarie la cui lavorazione e raffinazione avveniva nei centri costieri ove, in senso inverso, era disponibili i prodotti finiti di importazione.
Da quando nel febbraio del 1959 si decretò la chiusura di tutta la linea, quasi tutte le opere strumentali e architettoniche legate ad essa negli anni successivi vennero distrutte, lasciando nel ricordo di tanti misilmeresi languide memorie e singolari aneddoti.
Il monumentale viadotto Mortilli, invece lontano dalla nuova urbanizzazione cittadina, e perfettamente integrato tra gli orti e gli agrumeti sulle sponde dell’Eleuterio, rimane testimone paesaggistico di quella archeologia industriale, che ha fortemente creduto nel progresso tecnico ed economico dell’Ottocento a vantaggio di una terra profondamente lenta a capire le linee dello sviluppo della nuova era commerciale.
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