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I carretti siciliani come un trip psichedelico: così fu Palermo per Guy De Maupassant

Il famoso scrittore francese fu letteralmente folgorato dalla Sicilia e dalla città di Palermo: qui scoprì che il suo musicista preferito aveva scritto un'opera monumentale

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 13 luglio 2020

Guy de Maupassant in un ritratto di Eric Ezedman

È il 1883. Lo scrittore francese Guy de Maupassant arriva in Sicilia, due anni dopo pubblicherà il suo romanzo capolavoro “Bel Amì”: più che un viaggio un trip psichedelico.

Appena mette piede a Palermo la prima cosa di cui resta impressionato sono i carretti siciliani e guardandone le pitture ci dice: “si muovono come rebus che viene naturale tentare di risolvere”. Cappella Palatina, passeggiata in centro storico, Martorana, si mangia qualcosa perché era bello accippato e, infine, dato per scontato che doveva avere i piedi squarati, se ne ritorna all’albergo delle Palme, dove alloggia.

È un simpaticone il signor Guy, anche se sembra un po’ mutriato (imbronciato) di natura e porta due baffoni che lo fanno sembrare, ma proprio assai, a Peppone di “Don Camillo”. Si mette a disturbare un poco a questo e un poco a quello fino a che non incontra un signore seduto su una panca nel giardino interno dell’albergo che, forse non ha che fare nemmeno lui, gli racconta tutto quello che è successo a Palermo da un anno fino a quel momento (ci sono buone possibilità che si trattava di vecchio rincoglionito).
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Tra le tante fesserie il vecchio si esce: “Erano i tempi che Wagner abitava qui”. “Qui? In questo albergo?” “Qua, qua! È in questo posto ca scrisse le ultime note di Parsifal”. Appena appura che il vecchio non stava babbiando al Signor Guy gli viene botta di sale perché proprio non può credere che il suo musicista preferito avesse alloggiato lì.

Trova il modo e si fa aprire subito la stanza. Di prima impressione ci resta un poco male perché lui si immaginava il magico mondo di Willy Wonka e, invece, si trova dentro una camera normale. Apre l’armadio e un odore floreale lo pervade. “Qua dentro” gli dice il direttore dell’albergo “ci metteva la biancheria dopo che l’aveva bagnata con dell’acqua alle rose”.

Questa rivelazione probabilmente, Guy, la prese in criminale perché gli salì un impeto a luci rosse e, davanti al direttore, si chiuse nell’armadio per respirare Wagner. “Respiravo quel profumo, rinchiuso dentro il mobile”, ci dice lui stesso “un po’ di lui, un po’ del suo desiderio, un po’ della sua anima, in quel niente di abitudini segrete e care che fanno l’intimità di un uomo”.

Certo che era stravagante questo signor de Muapassant. Dunque, ebbro di tale fragranza culturalmente erotica, acchiappa e si va a fare un’altra passeggiata per la città. Mercati, vicoli, negozi, alla fine Guy ha la pessima pensata di andarsene al teatro. Pessima perché, lui che era francese a abituato a parlare a labbra strette e adagiare il tovagliolo sulle ginocchia prima di mangiare, appena parte lo spettacolo per poco non gli prende un attacco di panico.

“L’intera folla, eccitata all’invero simile, dotata di un orecchio tanto delicato quanto sensibile, amante della musica alla follia, diventa un unico animale vibrante che non sente e non ragiona”. In pratica pensa di essere stato graziato già per il fatto di essere uscito vivo da quel posto. Stando alle sue parole, invece che “l’amica di mammà” e “il povero gabbiano che ha perduto la compagna” per le strade di Palermo dell’epoca si sentiva canticchiare la “Carmen”, soprattutto “Toreador” (mi chiedo che malaparte gli abbiamo fatto al Padre Eterno per meritarci tale castigo).

E per tutti quelli che hanno pensato le donne siciliane come pelose e vestite di nero, beccatevi questa direttamente dalla sua bocca: “Le donne, avvolte in scialli di colori vividi, rossi, blu o gialli, conversano d’avanti alle loro porte e vi guardano passare con occhi neri che brillano sotto una selva di capelli neri”. Più cammina per le strade, il signor Guy, più ha l’impressione di trovarsi dentro un sogno lucido: di fronte a un banco della lotteria, assiste a una scena cui fatica a credere.

Una calca infinita di persone che giocano numeri e che, una volta usciti dal botteghino, infilano una moneta dentro una teca con la statua della Madonna facendosi il segno della croce con la giocata in mano. Se non ci può la Madonna, in queste cose, chi ci deve potere? Ce ne sarebbero altre e altre ancora da raccontare sul viaggio di Guy de Maupassant. Magari lo faremo. Intanto, se proprio avete voglia di gustarvi l’articolo, stappatevi una bella bottiglia di nero d’Avola, due spaghetti pomodorini e basilico e fate partire a tutto volume “Toreador”.
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