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Gli orribili cani neri che assalirono una città in Sicilia: la storia di Natale vera (e macabra)

Sembra una fiaba ma è riportato come fatto storico. Si crede che gli spiriti capaci di possedere le persone siano potentissimi nei nove giorni della Novena di Natale

Daniele Ferrara
Esperto di storia antica
  • 5 dicembre 2023

Le giornate sono sempre più buie, il sole sembra andare a morire o forse è già morto, quel 31 ottobre, come molte tradizioni vogliono. Deve ancóra giungere il 21 dicembre, la notte più oscura dell’anno alla quale si raccorda il Natale, dopo il quale la natura ritorna a nuova vita.

È tutto questo il periodo in cui le entità soprannaturali, a seconda delle tradizioni, toccano i loro picchi di massima attività. In certe culture addirittura è il periodo immediatamente precedente al Natale quello in cui le forze occulte si scatenano.

Sono famose nelle regioni alpine le sfilate dei Krampus, i dèmoni invernali che il Padre Natale deve domare, e le antiche saghe norrene riferiscono che le attività soprannaturali crescono all’approssimarsi dello Yule (21 dicembre) toccando il picco in quella notte, per poi decrescere.

Parimenti, in Sicilia si crede che gli Spiriti capaci di possedere le persone siano potentissimi nei nove giorni della Novena di Natale e che quindi sia impossibile per i Caporali degli Spiriti – coloro che hanno i poteri per relazionarvisi – contrastarli.
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Ma l’oscurità, che si manifesta come cosa macabra, fa parte della nostra vita: altro non è che ciò che c’era prima dell’ordine, rimasto chiuso in una stanza buia, e ciclicamente ritorna e bisogna saperla domare.

La gioia del Natale bisogna meritarla, bisogna scendere nel baratro, per andare a recuperare il Sole sepolto.

Com’è tradizione invernale raccontare storie di soprannaturale e di paura, ve ne racconto una, un fatto vero avvenuto nella mia Messina proprio in questi giorni novembrini.

Correva l’anno del Signore 1347: a settembre erano approdati mercantili genovesi provenienti Caffa, importante piazza commerciale anche dei messinesi, ma questa volta avevano portata come merce irrifiutabile la peste nera, tristemente nota anche a chi men conosce la storia. Si era alla fine di novembre, la peste imperversava e s’implorava il trasferimento delle miracolose reliquie di Sant’Agata da Catania.

In un tale pandemonio la Città di Messina fu assalita da una numerosissima muta di cani, ma questi non erano cani normali: nerissimi, erano soprannaturali in forza e ferocia e rilucevano d’una luce maligna che ne alterava le fattezze, facendoli apparire come diavoli infernali di forma canina sputati direttamente dall’Inferno, già visti in altri tempi e in altri luoghi nel passato.

I cani neri infatti, come se non bastasse la peste, aggredivano le persone ovunque si trovassero, ferendole con le zanne e gli artigli; Messina era letteralmente sotto attacco del Demonio.

Non c’era potenza contro questi mostri diabolici, non c’era modo di cacciarli, e messinesi di tutti i ceti decisero di rifugiarsi nel Duomo, Santa Maria la Nuova, sperando che il luogo più sacro della città con tutte le sue reliquie avrebbe fornito uno scudo da quelle mostruosità. Si sbagliavano.

La gente era riunita nel Duomo, terrorizzata; là si piangeva, si pregava, si cercava di trovare conforto nelle parole dei prelati, s’intonavano inni a tutti i santi patroni di Messina, da San Placido alla Madre della Lettera.

Nessuno si sarebbe aspettato l’infierirsi della minaccia su di loro in quel luogo e non osavano uscirne.

La gente terrorizzata nella cattedrale piangeva, pregava, ascoltava omelie, cantava inni, impiegando il tempo nell’attesa che l’orrore all’esterno passasse. Quando l’arcivescovo Raimando de Pezzolis decise d’uscire in processione nella Città per liberarla di percorrere la città in processione per liberarla dall’infestazione, accadde l’impensabile.

Le porte della cattedrale furono repentinamente violate da una creatura venuta dal peggiore degl’incubi: un enorme cane nero, con occhi d’inferno e zanne mortali, ritto su due piedi come un umano e con in pugno una terribile spada.

Con un ringhio lacerante che riecheggiò spaventoso in tutta la basilica, spezzò le preghiere dei presenti ed essi caddero a terra pronti a morire nel peggiore dei modi, persino i prelati crollarono.

Mai si era udito di potenze malefiche entrate in uno spazio sacro, né mai più se ne udirà. Ma quello era soltanto l’inizio dell’abominazione: il Cane Nero devastò gli arredi del Duomo, spaccando con la spada e la forza bruta vasi argentei, lampade e candelabri sugli altari, incontrastato.

Forse nessuno dei testimoni, rannicchiati o svenuti, ebbe il coraggio d’osservare il blasfemo spettacolo, giacché si accorsero all’improvviso ch’era piombato il silenzio.

Soltanto allora piano piano s’alzarono e si guardarono attorno: l’inviato delle tenebre non c’era più. Nemmeno gli uomini in arme, osarono andare in cerca di quel terribile demonio. Da quel momento, dopo quell’agghiacciante assalto del comandante dell’Orda, l’infestazione cessò. Il tempo dell’oscurità era scaduto.

Se la manifestazione demoniaca si fermò, non così il Cavaliere Pestilenza, che continuò a dilagare in ogni dove divorando le vite d’innumerevoli persone.

Vi scantastu? Ebbene, per quanto possa sembrare una fiaba inquietante e nient’altro, o peggio una mia invenzione, questo avvenimento potete leggerlo annoverato come fatto storico nella "Historia Sicula" attribuita a Michele da Piazza (lib. I cap. XXVIII, reperibile nella “Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere” di Rosario Gregorio).

Che cosa accadde davvero in quei giorni di seicentosettantasei anni fa forse non lo sapremo mai in questa vita. Sappiamo che il male non dura per sempre, e scompare, quando il suo tempo fissato giunge al termine.
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