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Giardini, agrumeti e i fasti dei tempi degli arabi: così rinasce il castello di Maredolce
Sono stati stanziati dei fondi per il recupero dell'antico parco di Palermo, disegnato come la riproduzione di un "Paradiso coranico", e la sua fortezza
Il Castello di Maredolce a Palermo
In attesa che si sblocchi l’iter dei lavori di restauro dell’antico palazzo normanno, finanziati dal Patto per il Sud, il parco che lo circonda si prepara a rinascere, aprendo uno spiraglio verso l’inserimento nel sito Unesco di Palermo arabo-normanna: è stata firmata infatti la convenzione con cui la Soprintendenza dei Beni culturali di Palermo dà in gestione per sei anni le aree verdi di Maredolce ad un’associazione temporanea di scopo, costituita da due cooperative sociali e un’associazione.
Dimenticato troppo spesso dietro le tante case abusive e baracche, il castello è un monumento dell’architettura arabo-normanna il cui nome cela tutta la nube di mistero che da sempre lo avvolge.
Circondato da alberi di agrumi e palme, territorio di colture di pregio a lungo utilizzato come presidio della città, oggi il castello di Maredolce resta nascosto dietro alcuni edifici di proprietà comunale che si affacciano su piazza Giafar.
Dopo il premio Scarpa che ha fatto riaccendere i riflettori su un luogo che coniuga i temi dell’agricoltura con il paesaggio e il tessuto urbano, il castello si conquista l’attenzione della soprintendenza dei Beni culturali che, in seguito ai lavori di restauro, si era fatta avanti per acquistare il terreno antistante l’ingresso.
Oggi si chiude un altro passaggio, iniziato l'estate 2018: la Soprintendenza ha affidato i sei ettari del Parco della Favara all’ats composta dalla cooperativa "Sosvile, Solidarietà, Sviluppo e Legalità" che già gestisce un bene confiscato alla mafia nel territorio di Monreale, a "Libera…mente", che si occupa di accoglienza di minori stranieri non accompagnati e di persone con disagio psichico e all’Ada, Associazione diritti degli anziani.
Nei prossimi sei anni le società si occuperanno della manutenzione del mandarineto storico ma anche della cura di sentieri e della piantumazione dei terreni attualmente in abbandono con il coinvolgimento di persone con disagio psichico e detenuti.
Il piano di utilizzo delle aree è stato curato dall’architetto Manfredi Leone, docente all’Università di Palermo, con la supervisione di Giuseppe Barbera, direttore del Dipartimento di Culture arboree.
È impensabile che luoghi come questo, dall’intramontabile bellezza, possano essere lasciati al loro destino: con la muratura tipica dell’età normanna, la sala preghiera, la sala plissettata e la Cappella di San Filippo, la speranza è che il castello torni presto a respirare e a brillare di luce propria.
Un sogno che pare stia diventando realtà e che, a piccoli passi, riporterà l'area ai fasti di una volta.
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