STORIA E TRADIZIONI
Fatture e controfatture, maghi e "cosi tinti": la magia popolare siciliana che affascina e fa paura
Un argomento che continua a suscitare curiosità e scetticismo. Virgilio scrive, nelle sue "Bucoliche", che «non c’è nessuno che non tema di essere colpito da incantesimi»
"Ovu di maara", XIX sec., Palermo, Museo etnografico siciliano Giuseppe Pitrè, dettaglio
Virgilio scrive, nelle sue "Bucoliche", che pur tra i rigorosi fedeli della ragione «non c’è nessuno che non tema di essere colpito da incantesimi», specialmente quando la vita presenta un conto troppo alto da pagare, quando si affastellano diverse congiunture nefaste che ci fanno subito pensare di essere vittime della sfortuna o addirittura del malocchio.
E il mago, per Apuleio, è anche un poeta: l’antico verbo greco “poiéo” significa ‘poetare’ ma anche ‘agire’ e ‘com-prendere’, nel senso di ‘abbracciare, cogliere il senso profondo delle cose con la mente’. Il mago condiziona queste profondità, il suo potere consiste nel piegare le leggi della natura alla propria volontà, nel comunicare col mondo sovrannaturale per dominarlo e controllarlo a proprio uso e consumo.
Sue in sostanza le ricerche sul campo in giro per tutta la Sicilia e le interpretazioni che qui provo a condensarvi. I maghi (maari o magari) e le maghe (maare o magare) praticano le fatture (maarìe o magarìe) e le controfatture (cuntramaarìe) attraverso gli esseri, entità animiche di ogni genere, sia spiritiche che legate alla sfera del divino – come la Vergine, Cristo, l’Angelo Custode, i santi o i diavoli – le quali, in un evidente sincretismo magico-religioso, vengono evocate o sfruttate come forze particolarmente influenti.
Spiriti e fatture destano talmente paura e soggezione tra le persone da non essere abitualmente neanche nominati se non col generico cosi tinti. L’anziana maara Marzia di Piana degli Albanesi, intervistata dalla Guggino, ha confessato di essere in contatto con parecchi esseri illustri, tra cui Platone, Gengis Khan "affamato di fimmine", Napoleone, Maometto e addirittura Satana, "un bell’uomo" che interverrebbe a risolvere i casi più difficili per poi andar via tranquillamente.
Marzia inoltre si è definita – come altri maghi – una donna di fora in grado di viaggiare sotto forma dello spirito che è in lei (mentre il suo corpo continua a dormire a casa) per sabba notturni e fatture. Premesso che nella tradizione popolare non esiste l’idea di magia nera per come la intendiamo noi – chi subisce considera “nero” l’operato del mago, chi ne giova “bianco” –, una fattura viene praticata travagghiando, lavorando, manipolando un oggetto, affinché veicoli l’entità in azione, il cosiddetto comando, con cui si identifica il mago che sta operando per colpire la vittima.
L’oggetto deve richiamare il suo destinatario: può quindi essere un fantoccio antropomorfo oppure, per mimesi, un uovo (simbolo di vita) o un limone (simile per forma all’uovo), trafitti da spilli, che arrechino, ciascuno, uno spasmo di dolore, e da chiodi, per sferrare il colpo di grazia finale.
La graduale deperibilità e la rottura dell’oggetto possono condurre alla follia e alla morte. Vengono usati anche capelli, unghie, abiti del malcapitato oppure intrugli di orina e sangue mestruale polverizzato miscelati nel suo cibo o caffè. Alcuni maghi operano attraverso animali (galline, conigli, gatti), anche se ormai di rado, o nei pressi del mare, giacché l’acqua sarebbe in grado di far circolare il comando oltre lo spazio fisico percepibile a occhio nudo.
Ho conosciuto anni fa il mago Giuseppe che sgozzò una gallina sul porticciolo della Tonnara Bordonaro all’Arenella per fatturare, su commissione di una moglie rancorosa, l’amante del marito che viveva fuori città. L’oggetto lavorato viene poi nascosto nella casa della vittima, per non essere scoperto e inibito, sotterrato nelle sue vicinanze oppure gettato in mare.
Quando il mago s’identifica col comando, rutta o sbadiglia, riproducendo così la sua voce infera, parla lingue ignote, entra in uno stato di trance e può recitare scunciuri, incantesimi, come questo riportato dalla Guggino per affascinare un uomo: Iu t’attaccu comu un palummu mutu / hâ fari n‘zoccu ti ricu iu pezzu ri curnutu / e pi’ lu nomu di Gesù / t’attaccu p’un ti sciogghiri cchiù.
Il fatturato, incamerando il comando inviato, ne risentirà con malanni di ogni genere (sofferenze fisiche, punture dolorose, disturbi gastro-intestinali, senso di freddo, ansia, incubi, forte calore al petto etc.), parlerà anche lui lingue mai udite, farà rutti e sbadigli incontrollabili e rischierà di impazzire e finanche morire.
Fallito ogni intervento medico e in evidente sospetto di fattura, la vittima si rivolgerà a un sacerdote potente – qualcuno ricorderà sicuramente l’esorcista Padre Matteo La Grua, un tempo attivo alla Noce di Palermo – o a un altro mago, il quale, con un’operazione identica alla precedente, opererà la controfattura, prima facendo salire, rivelare l’essere rintanato nella vucca ri l’arma (‘bocca dell’anima, dello stomaco’) e le sue intenzioni, poi individuando il mago vettore e infine procedendo a ripagare il committente con la stessa moneta.
Pitrè documenta un singolare rituale di controfattura all’epoca praticato di sera a Acireale da una maga e dalla sua comare aiutante. Alla vittima, denudata e sottoposta a una particolare abluzione nelle giunture del corpo, viene tagliata e bruciata una ciocca di capelli. Le ceneri dei capelli vengono immerse in una catinella d’acqua insieme a sale, aglio e olio.
Si pronuncia infine l’incantesimo: Sali, agghiu e ogghiu / Nesci, fattura, cà fora ti vogghiu. / Capiddi ‘nciniriti. / Lu mali distruggiti! / Spizzatu sia lu ‘ncantu. In nomi di lu Patri, di lu Figghiu e di lu Spiritu Santu. L’ex-fatturato potrà quindi scegliere se liberarsi dell’entità, oppure diventare mago a sua volta, eleggendola a proprio comando per fare fatture, voli notturni e altre stregonerie.
Imparerà in tal caso ogni prassi d’esecuzione (incantesimi, orari per operare, tipi di oggetti da manipolare etc.) e perfezionerà la propria indole all’ascolto e all’immedesimazione nelle storie collettive, fatte di invidie tra vicini di casa, gelosie tra parenti, amori non corrisposti o adulteri inaccettabili.
Si può essere mago anche per quel dono di nascita che consente di profetizzare il futuro e interagire con esseri accidentalmente incorporati – spalancando per esempio la bocca per uno scantu (‘spavento’) – e non per forza ostili.
La magia, spiega la Guggino, riesce a porsi come valida alternativa ai traumi della vita, alla realtà privata di senso ed equilibrio: allorché si verifichi la sventurata circostanza che, in un contesto già economicamente provato, nasca per esempio un bambino con particolari menomazioni psicofisiche, inabile al lavoro e peso quindi per l’intera comunità, la magia rilegge ciò che appare alterato e destabilizzante e lo risolve simbolicamente, evitando pure in certe occasioni «di venire alle mani e alle armi».
Il bimbo leggiuliddu (‘scimunito, stupidotto’) sarà allora il frutto della fattura rivolta indirettamente alla madre da una vicina rancorosa, oppure avrà lo spirito d’u vecchiu na panza entrato per scantu, o ancora sarà il gracile figlio delle donni da loro sostituito per rapimento… Il male verrà in ogni modo riconosciuto come agente esterno di cui la madre non ha nessuna colpa e l’ordine delle cose rigenerato e ricostituito tramite la magia, giustamente ritenuta dall’antropologa Silvana Miceli un prezioso «codice sociale di riserva».
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