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Li chiamano "fimminari" o "galli" (in amore): tutti i cliché sugli uomini siciliani

Avevamo parlato tempo fa dei cliché che raccontavano la donna siciliana con un fardello costruito dalla cinematografia: adesso è il turno dell'uomo con il gallismo

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 22 marzo 2025

«Ma perché la donna deve farci questa impressione? Vedo quei continentali calmi, sereni… Non ne parlano mai».

Ho deciso di partire da questa frase, pronunciata da un personaggio di Brancati per cercare di capire cosa s’intendeva con il termine “gallismo”.

Avevo parlato tempo fa dei cliché che raccontavano la donna siciliana con un pesante fardello immaginario costruito da una cinematografia spesso stereotipata e caricaturale.

Sugli uomini il discorso potrebbe sembrare più o meno lo stesso, se non fosse che a parlarne è un grande scrittore nato nel 1907 a Pachino, Vitaliano Brancati.

In tre romanzi i suoi personaggi siciliani sono condizionati e folgorati da una sensualità volutamente portata all’estremo, a volte deformata definita da alcuni “barocca”.

“Fimminaro” per tanti, Brancati coniò “gallismo”, un termine entrato nei vocabolari della lingua italiana che trae spunto dal modo di fare di un gallo in un pollaio. Indica una vanità erotica che fa sentire «bravi nelle faccende d’amore».
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Gallismo è diverso dal "dongiovannismo" che può diventare uno stato patologico e compulsivo dell’uomo che seduce tutte le donne considerate solo uno strumento.

Sarà come ho letto in un articolo di Balarm di qualche tempo fa, “la luce e il calore contribuiscono ad aumentare i livelli di testosterone e quindi la libido è diversa rispetto al nord”, sarà la presenza del vulcano, sarà per i comportamenti a lungo repressi tra uomo e donna condizionati da codici arcaici.

Il fatto è che l’uomo siciliano viene considerato detentore di sensualità e passione.

Nei 3 romanzi "Don Giovanni in Sicilia", "Il Bell’Antonio", e "Paolo il Caldo" vengono tratteggiati comportamenti e situazioni che investono non solo il gallismo ma tutta un’iconografia del maschio siculo che resterà a lungo impressa nella memoria.

Lando Buzzanca, Domenico Modugno, Marcello Mastroianni, Giancarlo Giannini li caratterizzano, interpretano, incarnano sino al grottesco.

In uno dei romanzi si legge che tutto inizia da uno sguardo “A Catania siamo fatti così …le cose ce le leggiamo negli occhi”.

Sguardi che diventavano brividi per le lunghe ore passate a osservare palpebre abbassate che s’illuminavano “a poco a poco dell’albore sottile…” e che potevano diventare con il tempo, lampo illuminante, capace di cambiare “corso e natura” della vita di un uomo.

Così il maschio siciliano avvolto da quest’aura di voluttuosità viene percepito, oltre l’Isola, come un fuoco inestinguibile che non intacca il matrimonio che rimane uno status irrinunciabile a prescindere dalle inventate o reali avventure amorose.

Nei tre libri troviamo tre caratteristiche diverse tra loro, Scannapieco amico di Don Giovanni, arriva a dire «Salgo muri lisci, non posso guardare nemmeno una caviglia, non ci sono donne che mi bastino».

Da qui i viaggi, siamo tra gli anni '30 e '40 per guardare, parlare, immaginare donne considerate più libere che belle rispetto a quelle dell’Isola.

Si soffre, si freme guardandole, i gomiti si infilano nei fianchi dell’amico e si raccontano storie scollacciate. Le donne diventano “pezzi di tuma… buone per una sola cosa”.

Gelosi temono sguardi “striscianti infuocati, viscidi, tortuosi”, rivolti alla propria donna da altri siciliani, ben intrepretando gesti ed espressioni che loro capiscono condividendoli.

Eppure questa non è la sola forma di libido che si legge in questo libro, l’eccitazione che si prova vedendo una caviglia può diventare disturbo nel sonno per un ginocchio freddo.

Don Giovanni sposato trapiantato al nord con modi e abitudini completamente diverse a cui con fatica si adeguerà, ricadrà nella voluttuosa indolenza una volta tornato a casa per una vacanza, il cibo, il sonno pomeridiano, le passeggiate serali con gli amici, saranno richiami superiori a quelli della passione.

È un codice comportamentale, ma cosa succede se un siciliano è affetto da Impotenza? Nel “Bell’Antonio”,è contrappasso, vergogna, onore ferito. Il protagonista si è costruito lontano da Catania una vita fatta di menzogne per nascondere il problema.

La lontananza dalla città natale, l’avvenenza di Antonio,contribuirà a rendere credibilequesto castello di fandonie.

Dal «continente arriveranno false notizie che faranno dire al padre del protagonista: Quando una donna è stata con lui, rimane a leccarsi le dita per il resto della vita. Non è vergogna essere un buon cavalcatore è vergogna il contrario».

Questo “contrario” verrà fuori e sarà scoperto quando Antonio tornerà a Catania e si sposerà. Passeranno 3 anni quando si verrà a sapere che la moglie è ancora illibata, il matrimonio non è mai stato consumato.

Di dominio pubblico, la famiglia dell’impotente vivrà una disperazione assoluta. Il matrimonio sarà sciolto, la ragazza destinata ad un altro partito molto più vantaggioso.

Antonio non troverà riscatto e il padre riabiliterà il nome della famiglia, alla fine del libro, in maniera tristemente ironica.

Dall’impotenza al sesso bulimico in Paolo il Caldo romanzo incompiuto e postumo, il protagonista vivrà il sesso in maniera così malata che assumerà la forma disquilibrio mentale.

Paolo è prigioniero della libido e vivrà una “Sessualità incontrollata” che non si arresterà neanche con il matrimonio.

La sensualità dei maschi siciliani ha avuto molte caratterizzazioni spesso esagerate che appartengono ad un immaginario datato nel tempo.

Nulla di questi modi di pensare, di comportarsi, appartengono alla Sicilia di oggi, eppure questi tre libri e tutta una cinematografia che ne è derivata, più o meno d’autore, ha rafforzato a lungo queste percezioni.

Oggi tutto è lontano, eppure ricordo ancora un modo di dire che ben rappresentava questo modo di essere: “Mi fa sangu” il cui significato può essere: “Mi piaci", "Mi stai simpatica” in una traduzione sicuramente edulcorata e mitigata rispetto a qualcosa che nel significato reale è ben altro.
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