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Era un caldo sabato del 1965: quando a Palermo c'erano "marziani e dinosauri"

Da uno scherzo di tre bambini nacque un racconto di Leonardo Sciascia pubblicato il 2 aprile 1969 sulle colonne del "Corriere della Sera". Ve lo raccontiamo

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 25 dicembre 2024

Quando mia nonna, parecchio tempo addietro, andò via dalla terra del pesto per trasferirsi in Sicilia, all'inizio si trovò un po’ spaesata da abitudini e modi di fare diversi in alcuni “dettagli”.

Ora non è che ci parse di essere approdata in terra di selvaggi, tutto il contrario, ma tuttavia dovette avere il tempo di adeguarsi.

La prima volta che, con la vicina di casa, andò al mercato di Ballarò per fare scorta di derrate alimentari, si avvicinò al bancone sussurrando: «Mi da 5 arance?».

Il commerciante dopo averla invitata ad alzare la voce picchi con tutto quell'abbannio non si sentiva nulla, le disse: «Eh…signora, che avi a dari a manciari i cosi cuntate?».

Il tutto porgendole un sacchetto che, parola sua, conteneva 1-1,5 kg di arance che si poteva fidare non c’era bisogno di pesarle, che insomma non è che stiamo li a i fare pillicusi 500 gr più 500 gr meno.
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Alla stessa stregua, era “ammirata” da come le notizie si diffondessero velocemente.

U curtigghio c’era pure a Genova intendiamoci, ma la velocità di diffusione, qui da noi, era decisamente più alta, e tale velocità aumentava in modo direttamente proporzionale alla presunta “riservatezza” della questione.

Ne ebbe dimostrazione quando, pochissimi giorni dopo, tornò a Ballarò, e lo stesso fruttivendolo le disse in tono ironico «Ncà signora 7 arance precise precise, un chilo!», aggiungendo poco dopo: «Lei non è la moglie del maresciallo chiddu nuovo? Che venite i dassupra?».

Oramai era stata identificata a cu apparteneva e di conseguenza adottata dal sottobosco panormita, nonostante fossero li da poco, non abitassero proprio vicino al mercato e mio nonno facesse servizio alla caserma Cangialosi che insomma, un po’ di strada c’era.. Ma pure questa è la magia di vivere in Sicilia.

Alla luce di questo aneddoto non dovrebbe stupire ciò che accadde a Palermo alcuni anni fa.

Era un sabato 2 ottobre del 1965 e già da alcuni giorni lo scirocco stava timpuliando la città della bella portando con se quella tipica lagnusia che colpisce noi siculi in questi casi.

Tuttavia, improvvisamente, accadde qualcosa che ridestò la città dal torpore.

I piccoli Mario di 8 anni, Anciluzzo di 8 e la di lui sorella Donatella di 13 anni, giurarono e spergiurarono di avere visto un cristianu granni granni, ca faccia ammaggiata e lunga lunga che si portava a passio un dinosauro con un collare come se fosse un canuzzu qualsiasi.

Il marziano, così ribattezzato dai picciriddi, seguito dal suo curioso animale di compagnia, era entrato in uno dei cunicoli vicino ai giardini di Piazza Don Bosco (che attualmente dovrebbero trovarsi dentro l’ omonimo Istituto) e che, secondo leggenda, erano usati dai Beati Paoli.

La creatura prima di sparire gli avrebbe detto: «Venite con me, non vi spaventate, vi insegnerò la mia lingua e vi porterò sulla luna», ma Donatella, Mario e Anciluzzu erano nichi si ma non fissa, per cui scapparono via e riferirono la cosa ai genitori.

Picca ci volle che tutto li attorno arrivassero carabinieri e poliziotti, vigili del fuoco, ambulanze e, naturalmente, giornalisti, telecamere e un discreto numero di curiosi che contribuirono ad aumentare il parapiglia.

Un funzionario di polizia ebbe l'illuminazione: «Talè, buttiamo dentro il cunicolo un lacrimogeno, così tutto si riempie di fumo e quello è costretto ad uscire».

Detto fatto, il lacrimogeno venne lanciato, il cunicolo diventò tipo Milano in inverno, ma l’unica creatura ad uscire fu un gatto randagio rossiccio che comincia a cornutiare tutti quanti.

Ma la polizia e la benemerita non si arresero. Così armati di coraggio e non solo, decidono di esplorare il passaggio, ma a parte qualche sacchetto ra munnizza abbandonato e cose simili non trovano nulla.

Si torna dai picciriddi: «Ma quindi dove l’avete visto entrare di preciso?», «No no c’hu giuro in capo a pasta cu forno, u vitti entrare da….», attimo di silenzio, «La la è! Iddu!».

Il marziano era tranquillamente tra la folla a guardarsi lo spettacolo, anche se privo del dinosauro.

Così le forze dell’ ordine pigliano a sto cristianeddu, che tanto alto non era, ma si sa che i bambini esagerano, però n’anticchia a faccia ammargiata l’aveva e se lo portano in caserma per accertamenti.

L’interrogatorio dura tutta la giornata fino a quando la testimonianza di parenti ed amici lo scagionano sollevando ogni dubbio sulla sua umanità.

E allora? Ma vo viriri che sti tre picciriddi ni pigghiaru a tutti pi fissa?

Così messi alle strette i tre confessarono che si trattava di uno scherzo divenuto più grande di loro, e che la malsana idea gli era venuta il giorno prima guardando in TV un film dal titolo “il risveglio del dinosauro”, precursore del ben più famoso Godzilla che sarebbe apparso di li a poco.

Tutto è bene ciò che finisce bene, e la cosa ebbe una certa risonanza al punto che lo stesso Leonardo Sciascia ne fu colpito, traendone una breve storia che pubblicò il 2 aprile 1969 sulle colonne del “Corriere della Sera”, riproponendola, tempo dopo, nella sua raccolta di racconti "il fuoco del mare".

Pur nella goliardia e leggerezza dello scherzo Sciascia, nel suo racconto, volle fare emergere la contraddizione che vive nella sua amata Sicilia, in cui facilmente si cade vittima di uno scherzo orchestrato da dei bambini, credendo a una cosa inverosimile come ad un marziano che porta a passeggio un dinosauro.

Mentre spesso si preferisce negare o far finta di non vedere l’esistenza di un mostro ben peggiore che con le sue spire arriva a imporre il suo volere finanche nei palazzi del potere, e che tavolta, addirittura, viene considerato come una “creatura” caritatevole, giusta e comprensiva, capace di sopperire alle mancanze dello Stato, anche meglio di quanto quest’ultimo farebbe.

Perché prima ancora di essere mostro, la mafia è un’atteggiamento, un modo di pensare e di comportarsi, contro la quale un popolo fiero e onorevole come i siciliani non dovrebbero mai chinare la testa.
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