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Era re, eroe e (pure) figlio di una dea: il gigante che dà il nome al borgo in Sicilia

Dei suoi resti si continuò a parlare, non rimase traccia reale agli abitanti e ai loro posteri, se non la pura convinzione che in passato una stirpe di giganti abitava qui

Jana Cardinale
Giornalista
  • 11 ottobre 2024

Erice

La storia del bellissimo borgo medievale di Erice si intreccia con il folklore locale e la superstizione. Il suo nome è quello dato da Eryx, il mitico eroe e re degli Elimi, al monte dedicato a sua madre, Venere Ericina, poi associato al culto di Afrodite.

Le origini della città sono collegate anche ad Enea che, nel racconto di Virgilio, approdò ai piedi della montagna per il funerale del padre Anchise, e che, dopo aver perso diverse navi in un incendio, fu costretto ad abbandonare lì un certo numero di suoi compagni d’avventura, fondando cosi la città.

Erice, sviluppata come una città fenicia ed ellenistica, è arroccata sul monte omonimo, che copre un altopiano triangolare con una meravigliosa vista sul mare ed è un vero e proprio labirinto di stradine acciottolate e passaggi così poco ampi da ospitare quasi una sola persona alla volta.

Le sue case, ammassate una sopra l'altra, affascinanti e curate, con i cortili interni custoditi dagli sguardi dei vicini, permettono alle famiglie che le abitano, di condurre la propria quotidianità in assoluta privacy.
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Una leggenda, ovviamente misteriosa, narra del gigante di questo borgo elegante, secondo cui sembra che sul finire del XIV secolo un gruppo di contadini trapanesi, poco lontano dal castello dove lavoravano, si imbatterono in una caverna che non conoscevano e, spinti dalla curiosità, decisero di entrarvi: subito si trovarono in un antro largo e altissimo e poco distante videro un uomo di smisurata grandezza.

Fuggirono in pochi minuti a gambe levate per raccontare quello che avevano visto e immediatamente un gran numero di persone, armate di bastoni, fiaccole e forconi, si diresse verso la caverna.

Trecento di loro vi entrarono e videro quello che avevano visto i primi lavoratori: un gigante altissimo che nella mano sinistra teneva un enorme bastone. Uno dei trecento, il più ardimentoso, stese la mano e toccó il bastone, che si polverizzò all’istante scoprendo al suo interno un’anima di piombo.

Toccato, anche il gigante si disfece allo stesso modo e di lui rimasero solo tre denti e l’osso di una gamba da cui si ricostruì la statura del gigante: venti cubiti, cioè circa 10 metri.

La vicenda, ventritré anni dopo, venne riportata da Boccaccio, e in questa sua riproposizione il poeta ricollega il ritrovamento alla figura di Polifemo, mentre secondo gli abitanti di Erice il gigante era in realtà re Eryx, figlio di Bute (uno degli Argonauti) e della dea Afrodite, in seguito ucciso da Ercole durante un duello.

Dei resti del gigante, di cui a lungo tra Erice e Trapani si continuò a parlare, non rimase traccia reale agli abitanti e ai loro posteri, se non la pura convinzione che in un passato remoto una vera stirpe di giganti, dovette abitare questa terra che affonda la sua storia più vera nel mito e nella leggenda.

La scienza, ovviamente, ha posto dei limiti a questa suggestione, evidenziando che un uomo di enormi dimensioni non potrebbe esistere perché crollerebbe sotto il proprio peso, e per sostenere il peso del suo corpo dovrebbe avere ossa così pesanti che i movimenti sarebbero quasi impossibili.

Resta tuttavia l’idea che un tempo la Sicilia fosse piena di fauni e giganti, e che magari quando un giorno la terra sarà gestita meglio, questi usciranno dai propri nascondigli per condividere l'isola tra loro.

Tra la Sicilia e i giganti in verità c’è sempre stato un rapporto molto particolare. Da tempo immemore si riportano storie di giganti in tutto il territorio, sospesi tra mito e realtà.

Spesso per giustificare fenomeni misteriosi o eventi naturali si fa ricorso a questi grandi personaggi. E si crede che a sorreggere la Sicilia sia proprio un gigante: Tifeo.

In merito a Erice e a quell’episodio della caverna, è probabile che i contadini avessero rinvenuto ossa di grossi mammiferi pleistocenici, comuni in queste grotte, e i cosiddetti denti rinvenuti potessero essere stalattiti o stalagmiti.

Oltre a Giovanni Boccaccio, che proprio nel 1365 narrò la vicenda nel suo trattato "Genealogia degli Dei", associando il gigante al Polifemo dell’Odissea di Omero, il gesuita tedesco Athanasius Kircher, studioso tra l’altro di geografia e geologia, si mise in viaggio verso la Sicilia per seguire le tracce dei suoi antichi abitanti ciclopici.

Dopo tanti anni di ricerche e studi in tutta Europa, Kircher stilò una classifica di tutti i giganti allora conosciuti, e il gigante di Erice-Trapani risultò essere il più alto della storia con i suoi 100 metri circa.

Definire la Sicilia la mitica terra dei Giganti forse è un vezzo degli storici locali, ma in quel libro, "Storia del Regno di Sicilia dall’Epoca Oscura e Favolosa sino al 1774", di Giovanni Evangelista Di Blasi, si trova proprio la descrizione del ritrovamento dello scheletro di gigante nel 1342, che per qualcuno è accurata e minuziosa.

La Sicilia resta così luogo ideale per suscitare racconti arcani ed enigmatici e stimolare il desiderio di un tour mitologico, alla ricerca di tempi remoti.
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