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Era bellissima e si chiamava Giselda: un mistero avvolge una donna e il castello di Naro

Fatti di sangue, amori e gelosie contraddistinguono il simbolo di un paese che è il simbolo dell'architettura spagnola in Sicilia e patria di San Calogero

  • 18 ottobre 2020

Castello Chiaramontano a Naro

Ci sono paesi in Sicilia che non hanno alcun bisogno del mare. Sono adornati da una bellezza talmente preziosa che è bastevole a se stessa, nelle forme del miracolo che spesse volte l’entroterra offre all’Isola.

È quasi una sfida al mare, lontano, intuito nella canicola vaporosa all’orizzonte, nell’idea di quella sciasciana Sicilia come metafora che ci è molto cara. Uno di questi paesi, ospitali e gentili, è certamente Naro, un luogo dalle origini millenarie in cui le tradizioni sono talmente forti da confondersi con la leggenda della sua storia.

In questo senso, la teoria più suggestiva è quella che racconta di un paese a lungo dominato dai Giganti, gli stessi dell’Odissea di Omero e dell’Eneide. Letteratura mitologica che rincorre le trame di realtà a una dimensione quasi favolistica, ma che tuttavia assegnano ai luoghi il senso dei popoli e della civiltà, lontani e non diradati negli stessi valori culturali dei suoi abitanti.
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Secondo il periodo, il borgo assume gli appellativi di Camico, Indara, Inico e Nahar, toponimo fenicio che precede Naro quale nome attribuito in via definitiva dal significato originario di “fiamma”. Fu terra di conquista degli Arabi, che eressero il Castello sui ruderi di una precedente fortezza, prima degli Svevi, che con Ruggero Il Normanno la conquistarono dopo un lungo assedio facendo edificare anche il Duomo.

Nel 1233 Federico II attribuì a Naro l’appellativo di “Fulgentissima”, con il quale ancora oggi viene ricordata, e, divenuta città a tutti gli effetti con nomina ufficiale nel 1525, crebbe di rilevanza economica e di floridezza politica nel Medioevo sotto l’egida degli Aragonesi, il cui quartier generale era costituito dal Castello Chiaramontano dove vennero promulgati i 21 capitoli per il buon governo.

Dopo alcuni secoli di lotte intestine e del buio della storia, Naro tornò a splendere nel ‘600 e nel ‘700 in concomitanza con l’operosità monastica mirata all’erezione di opere di stampo religioso, ricevendo un grande impulso architettonico con il Barocco le cui testimonianze artistiche – nello stile, nel gusto e nello spirito dell’epoca - oggi la collocano tra le più interessanti città barocche dell’Isola.

La città offre con orgoglio e generosità numerosi percorsi turistici complementari e di singolare suggestione: il percorso gotico, attraverso i monumenti dell’età medievale come l’antico Duomo Normanno, maestosamente adagiato accanto al Castello, la straordinaria scalinata di 209 gradini con il suo fortissimo impatto visivo, la Chiesa di Santa Caterina con il fascino delle sue forme e l’impronta della storia che la avvolge; e il percorso barocco, che si snoda come vanto e ricchezza del paese, con la Chiesa del S.S. Salvatore e i suoi elaborati intagli di tufo.

Per non parlare della spagnolesca Chiesa di San Nicolò di Bari con la sua antichissima fonte battesimale, la Chiesa Madre con le mirabili tele di Domenico Provenzali e uno struggente Crocifisso nell’atto di spirare, la Chiesa di Sant’Agostino con il magnifico portale dell’antico convento, la Chiesa e l’ex Convento di san Francesco – tra le manifestazioni più alte dello stile barocco siciliano -, e infine la Chiesa di San Calogero, il Santo Patrono di Naro.

Uno stordimento emotivo fra opere d’arte e architettura religiosa, alla luce del sole. E invece no, perché un’ombra si annida nel monumento che è emblema e metafora della città, il Castello dei Chiaramonte. Possente e austero, il maniero è visibile da ogni parte fino alla pianura, dominando con imperiosa dolcezza le ripide scale che cingono d'assedio il paese con le casupole accucciate del borgo primigenio.

Il prestigio di Naro nasce proprio a partire dalla presenza del Castello, che ne orienta l’urbanità mantenendo il caposaldo di difesa, e che s’impone magnifico alla vista e ancora perfettamente conservato con nobilissima dignità. Il Castello è uno dei più importanti della Sicilia e ha tracce di memoria immerse nel sangue e nel delitto, dacché un’antica leggenda narra del tragico destino di Madonna Giselda, la castellana dalle chiome nere e dagli occhi azzurri. Innamorata del proprio paggio Beltrando, accadde che una notte di luna piena lui le cantasse il suo amore con le dolci note di un liuto mentre la donna lo scorgeva al terrazzo.

Pietro Giovanni Calvello, allora Signore di Naro e geloso marito di Giselda, li sorprese nell’incanto dell’amore e non ebbe alcuna pietà: il giovane paggio fu ucciso e gettato dall'alto della torre, e Giselda richiusa in una fredda e buia cella dove si lasciò morire di fame e di dolore. Racconta la leggenda che nelle notti fresche d’autunno un bianco fantasma di donna vaga sulla terrazza del castello in cerca dell’amato Beltrando, e quando siede nel vano di una merlatura a contemplare il creato, un usignolo sale dai giardini e le segue il passo con i melodiosi gorgheggi di uno struggente e doloroso canto.

Un’altra versione della leggenda narra che il fantasma di Giselda perseguitò il principe maledicendolo e seguendolo ovunque. A ogni sua sconfitta Giselda gli appariva affianco, così che il principe per disperazione si tolse la vita; e una volta vendicata la sua morte e quella del suo paggio, Giselda fece ritorno al castello di Naro a piangere il suo Beltrando. Ancora oggi, il 15 di agosto, chi ha perso il suo amore può vederla e sentire il suo pianto sotto la luna.

Ma ancora un altro fatto di sangue interessò il Castello quando, estinta la dinastia dei Chiaramonte, al tempo della Regina Bianca di Navarra e delle sue disavventure con Bernardo Cabrera, questi, odiato dalla città di Naro, non potendo espugnare la fortezza, protetto dalle sue difese, vi penetrò a tradimento uccidendo il castellano e facendone il cadavere a pezzi, e infine ordinando che la madre badessa fosse murata viva nello strazio di una pena atroce. Le violenze della storia e la poesia della leggenda, fra salme depezzate e dolci usignoli in un paesaggio di anfratti bui e di campagne ariose nei pressi di Agrigento.
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