Era al fianco di Falcone, ora regala "simboli di vita": Tony, l'ex poliziotto (artigiano)
Sessantaquattro anni, una vita in polizia alle spalle e oggi una nuova passione: trasformare scarti di legno in crocifissi e presepi. Non li vende, li regala. La storia

Tony Lo Sciuto
Sessantaquattro anni, una vita in polizia alle spalle e oggi una nuova passione: trasformare scarti di legno in crocifissi e presepi. Non li vende, li regala. Senza chiedere nulla in cambio: «Perché mi piace far felici le persone», dice con semplicità.
In fondo, è sempre stato questo il suo lavoro: prendersi cura degli altri. Ed è per questo che ogni pezzo porta con sé una storia che si intreccia con la grande storia d’Italia e con quella, più intima, della nostra Sicilia.
Tony entra in polizia nell’87, e per diciassette anni fa parte delle volanti di Palermo. Durante questo lungo periodo, per due anni, gli viene affidato un incarico che lo segna per sempre: macchina di appoggio nel corteo di Giovanni Falcone, come apripista e chiudipista della scorta. «Ce lo cullavamo», racconta.
Due volte a settimana lo accompagnavano ovunque: all’aeroporto di Punta Raisi, dalla sorella, in Tribunale, ai convegni, perfino in piscina, in via Belgio, dove il giudice andava a nuotare prima di iniziare la giornata.
Tony era giovane, ma già allora sapeva. O meglio: sentiva. «C’era la consapevolezza o forse l’inconsapevolezza. Sapevamo di essere nel mirino. Ci aspettavamo un conflitto a fuoco, e in quel caso ce la potevamo giocare.
Ma un attentato come quello no, quello era impensabile. Dicono che i servizi segreti sapessero del carico di dinamite arrivato a Palermo, ma a quei tempi certe cose non le arrivavi nemmeno a immaginare.
E comunque, in autostrada, in quel punto lì non si sarebbe potuto fare niente. Era impossibile salvaguardarlo. Se proprio ci aspettavamo qualcosa, era nelle due gallerie venendo da Punta Raisi.
Tant’è che, ogni volta che passavamo da lì, c’era un elicottero a controllare e, quando entravamo, non vedevamo l’ora di uscire» racconta con una voce che pesa.
Quella stessa voce che si abbassa quando ricorda il dolore più profondo, quello della colpa, anche se immeritata. «Non averlo potuto difendere, non avere salvato i colleghi è un carico emotivo che ti segna.
È come se qualcuno ti affida qualcosa di prezioso, lo tieni tra le mani… e poi ti cade d’improvviso e si rompe. Tu ci rimani male. Ti resta addosso».
Dopo Palermo, nel 2004, ritorna alle origini, nella sua Lercara Friddi. Ci resta fino alla pensione, festeggiata nel 2021. E con la fine del servizio, inizia un nuovo capitolo: quella tra gli scarti di legno e i rametti d’ulivo, raccolti in campagna con pazienza e curiosità.
Ogni pezzo viene osservato, scelto, lavorato. I crocifissi nascono uno dopo l’altro, a centinaia, ognuno diverso, ognuno con un senso preciso. «Il legno mi affascina da quando ero bambino. Davanti casa c’erano delle botteghe di artigiani, io andavo lì a curiosare, guardavo le mani che lavoravano, respiravo il profumo della segatura.
Mi colpiva la duttilità del legno, il fatto che da un tronco si potesse creare qualunque cosa, anche con un semplice coltellino. Ma io non impongo nulla al legno: lui ha già la sua forma, io la rispetto, la scopro, la seguo».
Tony non fa solo crocifissi: lavora anche presepi. Prende le radici, le scava, le compone con pietre e ne traccia la rotta. C’è poesia nel suo gesto, ma anche fede.
«Per me la croce non è segno di morte, è simbolo di vita e rinascita perché rappresenta la resurrezione di Gesù, ma anche la nostra. A volte ne faccio due, una più grande e una più piccola: quella più grande è la croce che ha portato Lui, quella più piccola è la nostra. A volte invece ne metto tre accanto, come sul Calvario. È un modo per raccontare».
Opere uniche che ormai sono in giro per il mondo: alcune sono custodite nella cripta della chiesa madre di Lercara, altre sono perfino arrivate in America.
Ma nonostante i moltissimi apprezzamenti ricevuti negli anni, Tony non cerca riconoscimenti né vuole applausi. «Mi dicono sempre di organizzare una mostra - sorride - ma io non me la sento. A me basta regalarli. Mi piace vedere le persone che si emozionano. Quello mi basta».
C’è una dolcezza, una cura, una redenzione silenziosa in quello che fa. Come se ogni pezzo di legno fosse un frammento di una storia più grande, da levigare piano piano: per rimetterla insieme, farne qualcosa di buono e restituire al mondo un po’ di bellezza.
Anche se fatta di scarti. E forse è proprio questo il senso più profondo del suo lavoro: un riscatto intimo, un modo per riparare ciò che non si è potuto proteggere.
Un frammento di bellezza che nasce dalla memoria, e che risponde con delicatezza a un ricordo che ancora brucia.
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